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Mondo Sonoro [09-2017]

Dopo essersi rifatti vivi qualche mese fa con il singolo The Man, un brillante antipasto, abbiamo potuto ascoltare il quinto album della band, che non sarà più definita “la più britannica degli Stati Uniti”. I Killers ritornano dopo un silenzio di cinque anni in seguito a Battle Born (2012) e lo fanno con un album intitolato Wonderful Wonderful, registrato assieme al produttore Jacknife Lee tra Las Vegas e Los Angeles

Brandon Flowers ci accoglie nel suo camerino prima di mangiarsi il palco principale del festival BBK Live di fronte a quarantamila persone. Più maturo, perfettamente pettinato, con pantaloni attillati che gli calzano a pennello, con una giacca dai risvolti sbrilluccicosi e con un grande sorriso. “Sono felice del risultato finale di questo album, che suona molto come il nostro deserto, quello del Nevada”. E infatti, con alcune canzoni dell’album, è facile percorrere con l’immaginazione le strade dritte e infinite che portano alla città del gioco, Las Vegas. “Amo quel deserto e amo Las Vegas. Invecchiando mi sono reso conto di quanto significhi per me il luogo a cui appartengo, il deserto del Nevada. Ora che ho trentasei anni, è molto più parte di me e io sono molto più parte di esso. Abbiamo cercato di fare in modo che si riesca ad ascoltare e sentire nelle canzoni, nei suoni e nelle fotografie dell’album”.

Uno dei ruoli fondamentali per il risultato finale di “Wonderful Wonderful” lo giocano i sintetizzatori. “Amo i sintetizzatori e nel nostro caso abbiamo contato su un grande produttore che ha fatto tutto il necessario perché tutto si amalgamasse a meraviglia. È importante andare e guardare avanti per cercare il sound che vogliamo ottenere e Jacknife è stato fantastico da questo punto di vista. Il suo coinvolgimento nell’album è stato decisivo per ottenere quello che volevamo”. E così è stato, perché il sound dell’album è diverso dai precedenti lavori del gruppo. “Ci sono buone chitarre, un sound più denso e pesante. È difficile dirlo, ma credo che abbiamo realizzato uno dei nostri migliori lavori. Il primo è stato buono, anche il secondo, il terzo non tanto e il quarto molto meglio del precedente e questo credo che sia… buono”.

Quando parliamo dei testi delle canzoni, il cantante e tastierista sottolinea che siamo di fronte ai più personali ed essenziali che abbia mai scritto. Alcuni fanno riferimento a esperienze personali mentre altri sono un ritorno agli anni ‘80. “Sono nato nel 1981 e per i primi otto anni della mia vita ho ascoltato musica di quel periodo. Ha avuto una inevitabile influenza e un forte impatto su chi sono e sulla mia formazione musicale. Non è una cosa che ho tentato di fare o fatto coscientemente, ma è senza dubbio una parte di me. E non è tutto così anni ‘80, no?… (ride)”. Flowers ha dichiarato che “The Man”, il primo singolo di questo lavoro, è un modo per fare pace con gli inizi della band e si differenzia notevolmente dal personaggio che il cantante si costruì addosso a quel tempo, e che egli stesso ha definito come “pieno di arroganza e insicurezze”. “The Man” parla di una persona che crede di essere indistruttibile. “Quest’uomo adesso e quell’uomo in quel momento non sono gli stessi. Gran parte di questo album cerca di fare la pace con questa situazione. C’è voluto molto tempo per chiarirlo. Non credo che quel ragazzo sia una rappresentazione onesta di chi io sia adesso. Quel personaggio è nato dall’insicurezza e mi dava il coraggio per fare certe affermazioni, facendomi esternare moltissima negatività. Fondamentalmente mi dispiace di certi atteggiamenti di gioventù e sono sicuro che molte persone si identifichino con questo”. E il gruppo che diventò famoso con “Hot Fuss” quell’estate del 2004, è cresciuto in questi quasi quindici anni, durante i quali Brandon Flowers si è anche avventurato nella pubblicazione di un disco solista. “La band si è evoluta, siamo insieme ormai da molti anni e siamo maturati. E credo che ciò si noti nelle nuove canzoni. Adesso ho trentasei anni e tre figli. È una situazione che mi piace e sono felice. Credo che questo disco mi rappresenti in qualche modo”. Tuttavia, adesso, i Killers non si aspettano un abbraccio “Wonderful Wonderful” da parte della critica, che non è mai stata amichevole nei loro confronti. Preferiscono che i loro milioni di seguaci continuino a cantare le loro canzoni. “Abbiamo molti fan diversi tra loro, siamo molto fortunati. E a volte le band con molti fan non hanno fortuna con i critici. Rispettiamo le loro opinioni, ma non facciamo musica per i critici, la facciamo per noi e non ci interessa quello che dicono”.

Quando parliamo delle sue influenze in questo album, che sembra tener meno in considerazione il Regno Unito, il ragazzo del Nevada è molto cauto.
“Si diceva che fossimo la band più britannica degli Stati Uniti. Può anche essere la verità, ma ci sono anche i Dandy Warhols e altri gruppi che suonano musica molto britannica, anche più di noi. Però è possibile che questo sia il nostro album più americano, soprattutto le canzoni ‘Run For Cover’ e ‘Tyson vs Douglas’. Credo ci sia un’impronta più americana in queste canzoni”.
Forse ha di più di cui parlare quando il tema diventa generale e discutiamo del rock e dell’indie, e del suo futuro. “Credo ci siano molte band che fanno belle canzoni e quindi il gioco continua. Quando abbiamo iniziato sono comparse o già suonavano band come The Libertines, Kaiser Chiefs, Kings Of Lion, The Strokes, The White Stripes o Yeah Yeah Yeahs. Ci sono ancora band che scrivono grandi canzoni, quindi penso che sia un buon momento per la musica. Ti dirò che, in questo periodo, il mio artista preferito è l’australiano Alex Cameron”.

Anche se riconosciuto per essere il frontman di una band che riempie gli stadi, dal punto di vista personale Brandon Flowers è un uomo calmo e religioso, mormone per essere più precisi. “È assolutamente possibile avere una famiglia, avere fede ed essere un musicista. Ci sono molte altre persone nel mondo del rock che sono più religiose di quanto la gente pensi. Elvis Presley era molto religioso e anche Johnny Cash, che era cristiano e molto credente. Certo che è possibile. Il mondo sta perdendo la fede, ma io sono un credente e non posso negarlo”.