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NME [22-06-2018]

Andrew Trendell parla con Brandon Flowers e Ronnie Vannucci Jr della celebrazione del loro passato e la carica verso un nuovo e coraggioso futuro – con o senza il loro compagni di band.

Questo fine settimana i Killers ritornano ai lidi britannici per fare da headliner all’Isle Of Wight Festival assieme ai loro idoli adolescenziali, i Depeche Mode, e agli altri sopravvissuti della scena indie degli anni 2000, i Kasabian. Nella loro estate c’è anche spazio per i festival TRNSMT e Latitude, importanti date in Europa e Asia e anche un curioso concerto a Bolton. Sì, Bolton. Con la recente pubblicazione di tutti i loro album in vinile in un bel boxset, si può dire con sicurezza che questo sia un giro d’onore.

Dopo cinque lunghi anni puntuati da alcuni celebrati album solisti, un greatest hits e quella che è sembrata un’eternità, sono riemersi l’anno scorso con il glam di ‘The Man’, che ha preceduto il loro quinto album consecutivo al numero uno, ‘Wonderful Wonderful’. Tuttavia sono una cosa totalmente diversa dai ricercati re delle piste da ballo indie conosciuti con ‘Mr Brightside’, o i cowboy dello sfarzo di ‘Sam’s Town’.

Dopo aver perso la strada, come da loro ammesso, con ‘Battle Born’ del 2012, sono cresciuti molto e hanno trovato nuova convinzione, ma perso due membri per quanto riguarda il lavoro di ogni giorno. Anche se la band insiste a rimarcare che il bassista Mark Stoermer e il chitarrista Dave Keuning sono ancora parte del nucleo dei Killers e di quello che creano, sono entrambi ancora in pausa dal tour. Ciò lascia il frontman Brandon Flowers e il batterista Ronnie Vannucci Jr come cuore pulsante della band – e, a detta di tutti, si stanno divertendo tantissimo a suonare alcuni dei concerti migliori della loro carriera come due amiconi in perenne vacanza.

Mentre questa versione evoluta, semplificata e inarrestabile dei Killers si prepara a voltare pagina di nuovo, incontro una band che celebra la propria storia ma è ancora affamata e pronta ad iniziare il prossimo capitolo – a prescindere dagli attori che ne prenderanno parte…

I fan dei Killers sono piuttosto possessivi di certi album ed ere. Quale pensate sia la vita che ‘Wonderful Wonderful’ ha preso dalla sua pubblicazione?

Brandon: Credo si stia ritagliando il proprio spazio. È un album adulto e lo sapevamo mentre lo stavamo creando. Nessun vuole sentire la parola ‘adulto’, ma è la realtà. Alcuni di noi hanno 42 anni, io ho tre figli. Credo che gli artisti che entrano in questo territorio e abbracciano quello che sta succedendo nella propria vita e si tengono ancora aggrappati a ciò che li ha formati – sono quelle le band e gli artisti che sono riusciti ad entrare nella fase successiva. Noi abbiamo tastato l’acqua con la mano e ci siamo buttati.

Ronnie: La gente lo ama. I concerti sono stati una cartina tornasole di come sta andando. Sento che ha un posto speciale nel cuore di tutti.

Quindi quale dei vostri album è più significativo per voi?

Brandon: È difficile dirlo perché con ogni album non c’è mai stata esitazione o riluttanza. Siamo sempre stati soddisfatti di ognuno ma tendo a gravitare verso ‘Sam’s Town’ a causa di quello che dovevamo combattere. Ci sono state poche band che hanno pubblicato un album come ‘Hot Fuss’, e seguirlo con qualcosa di speciale come ‘Sam’s Town’, perché credo davvero lo sia, è una cosa notevole di cui far parte.

Ronnie: Beh, questo [‘Wonderful Wonderful’] significa parecchio per me. È stato un album difficile ma anche piacevole da fare, ma mi è piaciuto perché non abbiamo mai sperimentato così prima. E poi ci sono stati molti cambiamenti personali nella mia vita, quindi è stato bello passare attraverso questi cambiamenti mentre lavoravamo all’album. Credo che guarderò sempre a questo album come a un nuovo capitolo per me.

Ci sono alcuni singoli che vi danno ancora la stessa sensazione?

Brandon: Mi piacciono diversi sound per diversi motivi, ma se devo scegliere una canzone che significhi più di tutte per me è ‘Read My Mind’. Non so spiegarlo, è che tutto cambia quando la suoniamo ed è una cosa incredibile. Mi ricorda di quando vado ai concerti degli U2 e iniziano a suonare ‘Where The Streets Have No Name’, o canzoni simili. È come entrare a far parte dell’universo, non sai come ci sei riuscito o perché, ma lo hai fatto ed è incredibile.

Ronnie: Forse ‘Some Kind Of Love’, per questo album.

Avete già discusso di cosa farete per il prossimo album?

Brandon: Non saprei. È tutto in evoluzione e si impara ad ogni album. È una cosa strana, ho realizzato che aspetto che mi si presenti. Non dico necessariamente ‘Inizio e questo è l’album che farò’. Non credo si possa forzare perché, che piaccia o meno, le cose assorbite negli ultimi due anni si manifesteranno e sarà tutto diverso da quello che si era pianificato.

Ronnie: Io sì. Cazzeggio costantemente con varie cose e lo vedo fare molto online con persone che lavorano con sound sperimentali – con i loro sintetizzatori elettronici e roba simile o anche con album totalmente jazz. Ci sono tantissime cose sotto la superficie e forse il mondo del pop riuscirà a mettersi al passo fra 20 o 30 anni. Vorrei entrare un po’ in questo mondo. Non voglio perdere nessuno per strada, ma ci sono ancora tante cose da scoprire e credo che mantenere la tradizione di cercare sempre qualcosa di nuovo con ogni album, sia una cosa che dovremmo tenere in considerazione.

Quindi stavolta non ci saranno da aspettare cinque anni per il prossimo album?

Ronnie: No, ne dubito. Stiamo già pensando di portare la nostra strumentazione per la registrazione con noi e abbiamo iniziato a giocare con qualche idea nel backstage. È nei nostri pensieri e credo che vogliamo iniziarlo subito. Non voglio aspettare oltre e credo che siamo pronti.

Come vi sentite a dover ritrovarvi di nuovo in una stanza con Dave e Mark? Sono a bordo?

Ronnie: Credo che lo siano, non ne ho parlato molto con loro. Penso che se sono pronti e disponibili, allora possiamo partire subito. Alla fine, se non lo sono continuerò ad andare avanti con riluttanza senza di loro. Non voglio sembrare irruento, ma sto cavalcando un’onda adesso e non voglio scendere.

Brandon: Non abbiamo ancora affrontato la situazione, voglio dire che io e Ronnie andiamo d’accordo, e non ci sono molte occasioni di contatto con gli altri.

Che cosa vi ispira ultimamente? La politica Americana darà forma al prossimo album?

Brandon: Tutto, dalla musica che ho ascoltato crescendo, agli eventi che stanno succedendo nel mio Paese – non si può esserne indifferenti. Di recente mi sono trasferito di nuovo in Utah ed è tutto potente e nostalgico perché ascolto canzoni che ascoltavo quando avevo 13 anni, quando mi stavo innamorando della musica. Mi ritrovo nella stessa situazione geografica, le montagne sono le stesse, il tempo è lo stesso, questa combinazione ha un potere su di me. Mi ricordo l’esperienza dell’ascolto di ‘Louder Than Bombs’ ed è una botta doppia. Non si tratta solo di, ‘Oh mi ricordo di quella canzone’, ci sono molti più sensi che si attivano. È stato importante per me nel ricordarmi della musica che ho amato per prima, quindi è stato bello.

Ronnie: Sono un po’ entrato nel tunnel del jazz. C’è un grande batterista che ha suonato nell’ultimo album di David Bowie [‘Blackstar’], si chiama Mark Guilianahe. È molto giovane, quindi è quasi da non crederci. Abbiamo iniziato a vagliare nuove idee per il prossimo album e ci sono un sacco di cose in quel mondo che le persone non scopriranno se non fra 20 anni. Non suona come la musica pop, ma sto tenendo sotto controllo quello che alcuni fanno con l’elettronica, forme di canzoni e cose simili, quindi ascoltarli mi dà idee nuove per la nostra prossima impresa.

Direste che siete il tipo di band per cui ogni album è una reazione impulsiva nei confronti del precedente?

Brandon: Beh, è successo. ‘Sam’s Town’ è stata una reazione ad essere definiti ‘La miglior band britannica d’America’ e così abbiamo detto ‘Hey, che stanno dicendo?’ e abbiamo iniziato a guardare alle nostre radici e ad abbracciare il cambiamento. Poi la gente ha cominciato a dire ‘chi pensa di essere? Scrivere canzoni che suonano così?’ Allora poi ho scritto ‘Human’, perché sentivo che non mi era permesso scrivere canzoni rock’n’roll americane.

Brandon, hai detto che ti piacerebbe anche fare un nuovo album solista, no?

Brandon: Beh, il motivo per cui ho fatto album solisti è stato per dare una pausa a Mark e Dave, per cui adesso che non vengono in tour non vedo un motivo per fare un album solista, capisci? Sono orgoglioso di quei due album ma se riusciamo a metterci in marcia non ha senso farne un altro. Non sto dicendo che non ce ne saranno più, l’ho portato in tour per soli due mesi e mi stavo divertendo, quindi la prenderò come viene.

Assieme agli Arctic Monkeys e ai Kings Of Leon, siete una delle poche band sopravvissute all’ondata indie degli anni 2000 che vi ha dato la fama, eppure adesso siete considerati senza tempo e universali. Come mai è così secondo voi?

Brandon: C’è un duro lavoro alle spalle. Non dico che gli altri siano pigri, ma abbiamo lavorato sodo e siamo anche stati un po’ fortunati… o forse siamo stati molto fortunati e abbiamo anche lavorato sodo. Quando entri a far parte di una band immagini di non dover timbrare il cartellino e lavorare dalle 9 del mattino alle 5 del pomeriggio, e in parte ciò è vero, ma se vuoi farlo davvero devi sporcarti le mani e lavorare. Il motivo per cui penso che non ci si sporchi è perché la musica ha fatto tantissimo per me. Voglio ripagare il favore.

Ronnie: Ci saranno sempre altri motivi, ma credo che sia dovuto soprattutto alle canzoni. Penso sempre alle canzoni come ad anime o globi perché quando una canzone è buona sembra quasi un mondo nuovo che si forma. È questa la vera parte speciale.

Avete sentito un certo tipo di fratellanza o connessione con le band con cui siete cresciuti?

Brandon: Sì, ci sono alcune band di cui non vedi l’ora di vedere quale sarà la prossima mossa o cosa faranno. Ho sempre creduto nei Razorlight, e sono triste nel vedere cos’è successo loro e come siano spariti. Era un periodo bellissimo l’inizio degli anni 2000 per far parte di una band.

Ronnie: Non sento fratellanza con loro né più né meno rispetto ad altri musicisti. Siamo tutti scrittori nella stessa barca e mi sono fatto degli amici nel tempo, ma se consideriamo solo la loro musica e le loro tempistiche non sento tutta questa connessione. Magari ci ritroviamo agli stessi concerti o festival e diventiamo amici. Sono amico da anni con persone che fanno parte di band ed è bello tenersi in contatto con amicizie organiche, non solo perché fanno parte degli Arctic Monkeys. Non faremo un barbecue assieme solo per quel motivo.

Sentite una sorta di ispirazione e competizione nella crescita ed evoluzione di band come gli Arctic Monkeys o gli Arcade Fire?

Brandon: Certo. Ogni volta che qualcuno si prende un rischio credo sia ammirabile, e loro lo hanno sicuramente fatto. Credo che anche noi lo abbiamo fatto. Non ci sono regole, quindi è bello vedere cosa creano.

Avete suonato allo stadio di Wembley e fatto da headliner a Glastonbury. Cosa rimane nella lista dei desideri dei Killers?

Brandon: Beh, stiamo ancora crescendo. Abbiamo fatto e incluso un sacco di cose che mai avrei pensato di poter fare. È stato incredibile finora ma le cose continuano ad evolvere. Quindi, non saprei. Non ho una lista di cose da depennare, ma sono successe molte cose quasi miracolose. State sintonizzati.

FonteNME