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Black Book Magazine [04-2009]

Brandon Flowers, il magnetico mormone cantante dei Killers, trova il lato positivo nell’arte profana del suo eroe, Dave Gahan dei Depeche Mode.

I Depeche Mode rendono l’auto distruzione quasi una caduta dalle nuvole. Basta solo rivisitare il desiderio morboso e deviante di Master and Servant, Fly on the Windscreen, Blasphemous Rumours o Barrel of a Gun per uno sguardo nelle strazianti visioni del mondo di Dave Gahan, Martin Gore e Andrew Fletcher, che hanno portato il gusto per il futurismo e la perversione a vendite che superano i 90 milioni.
Gahan & Co. hanno passato la loro carriera a perfezionare un teatro di crudeltà per le masse, e se le masse non hanno sempre colto il concetto – ad esempio, perché Gore sembra sempre salire sul palco con attrezzi da quasi-schiavitù? – sono state attratte dai ritornelli colossali e la ribollente sensualità, e hanno divorato tutto come piraña.
I Killers, che giganteggiano tra i numerosi seguaci dei Depeche Mode, sono un caso peculiare. Da quando hanno ottenuto la fama con il loro esplosivo debutto del 2004, Hot Fuss, hanno sapientemente accoppiato l’ultra sfarzo dei Duran Duran con la serietà viscerale degli U2, il tutto raggiungendo quasi la stessa celebrità di entrambe queste band.
Adorabile e grandioso, il frontman dei Killers, Brandon Flowers, rappresenta una contraddizione che si intona bene con quelle che i Depeche Mode possono rivendicare: è un mormone risoluto, una religione non esattamente conosciuta per aver dato vita a cantanti glamorous rock.
L’unico rivale significativo di Gahan come Cristo-delle-rock-star è probabilmente Bono. Ma mentre il Dublinese professa la sua fede incrollabile nell’unico Figlio di Dio, Gahan, specialmente nel testo della deliziosamente blasfema Personal Jesus (“Someone to hear your prayers / Someone who cares”), si è offerto come sostituto, un’eresia a cui nessuno nel suo pubblico adorante troverebbe alcuna obiezione, indipendentemente dalla loro vera religione.
Appropriatamente, Gahan ha quasi visto la propria crocifissione a causa dell’eroina negli anni ’90 ed è letteralmente stato riportato in vita nel retro di un’ambulanza a Los Angeles. Flowers, nonostante la sua sfrontatezza e spavalderia, è stato un modello di responsabilità e comportamento. A soli 27 anni è felicemente sposato e padre (neanche si avvicina alle droghe, come avreste potuto immaginare). Entrambe le band hanno pubblicato nuovi album. Il terzo dei Killers, Day & Age, è stato pubblicato lo scorso Novembre accolto dal consenso della critica. Con la sua ambizione stilistica che spazia su atmosfere evocative e grandi affermazioni nei testi (Brandon ha ricevuto qualche critica per aver filosofizzato in modo abbastanza goffo – “Are we human / Or are we dancer” – nell’altrimenti maestoso e splendente singolo di successo, Human), i Killers suonano come una band a cui manca poco per entrare nell’olimpo.
I membri dei Depeche Mode, dall’altro lato, hanno fatto a meno delle regole prestabilite. Virtualmente niente nell’affascinante nuovo album, Sounds of the Universe, si basa nel riciclo del loro passato. I formidabili ritmi e il fervore industriale di Hole To Feed sembrano la colonna sonora di qualche rituale cannibale futurista; Little Soul appare quasi come un gospel perso in un paesaggio da incubo; In Sympathy è come potrebbero suonare i Kraftwerk se smettessero con i loro calcoli e si sporcassero un po’ di più mani. Il cantato di Gahan dimostra sempre di più una sensualità grezza e malinconica, ed è forse più appassionato e accattivante che mai.
All’incontro con BlackBook in una recente serata invernale, Gahan è stato come al solito affascinante e carismatico, mentre Brandon, accompagnato dal chitarrista dei Killers, Dave Keuinig, era, comprensibilmente, leggermente abbagliato dalla sua presenza.

I Depeche Mode sono stati degli outsider all’inizio. Ma i Killers hanno raggiunto il successo quasi subito. Brandon, in che modo la fama ha influenzato la band, dal punto di vista personale e artistico?
Brandon Flowers: Sto ancora facendo fatica ad identificare gli effetti. Mi sento esattamente lo stesso. Forse perchè per noi è successo così rapidamente, non ho avuto molto tempo per capirlo. L’unica cosa che ci preoccupa è pubblicare il prossimo album. Il nostro fuoco sta bruciando, e sfruttiamo questa situazione.
Dave Gahan: All’inizio si trattava solo di fare il nostro lavoro e il resto ci è stato imposto. Ne ho sicuramente approfittato e mi sono divertito..e poi basta. Essere una rock star, stare a quel gioco, è stato divertente per un paio di anni là a Los Angeles. Ma dopo un po’, essere la celebrità che se ne sta seduta all’angolo di un club ha cominciato a non avere più valore. Adesso abito a New York, una città in cui vado in giro e nessuno mi infastidisce. Mi piace qui. La mia giornata di solito è abbastanza normale. L’idea che la fama debba essere qualcosa che ti da piena soddisfazione…non la capisco.

Brandon, come sei stato influenzato dai Depeche Mode?
BF: Prima di iniziare a pensare a me stesso come musicista, sono stato personalmente colpito dai Depeche Mode. Some Great Reward e Songs of Faith and Devotion mi hanno plasmato come individuo prima ancora che scrivessi la mia prima canzone. Quindi significano molto per me…(ride). Dio, è tutto così surreale.

È interessante il fatto che tu abbia citato Songs of Faith and Devotion. Ho sempre pensato che i lavori dei Depeche Mode si basassero sull’esplorazione del senso di colpa, sulla perversità e sensualità come reazione alle idee della società sulla religione e la moralità.
DG: I tre soggetti che hai menzionato e di cui i Depeche Mode parlano nelle loro canzoni sono le chiavi del volere far parte di qualcosa e voler essere in grado di essere personali, e in fondo trovare un senso di pace con sè stessi. Secondo me, non posso ottenere ciò da qualcuno o qualcos’altro. Devi sentirlo dentro, che c’è qualcosa che l’universo sta offrendo; ma spesso sembra che non siamo in grado di vederlo.

Brandon, sembra anche esserci una ricerca della morale e delle basi spirituali nelle vostre canzoni.
BF: È stata una battaglia continua per me. Crescere a Las Vegas mi ha veramente preparato a tutto questo. Ci sono molte cose che succedono là ma che in qualsiasi altro posto sono considerate tabù, e questo si sente nelle nostre canzoni. Sto cercando di venire a patti con la realtà che sono un credente, e sto abituandomi sempre di più man mano che invecchio. A volte è in contraddizione con quello che faccio, lo so.
DG: Direi di no. Ci vuole un bel po’ di coraggio oggigiorno per uscire e dirlo apertamente. Credo che tutti noi vogliamo credere a qualcosa.

Il testo delle canzoni Kingdom e Miracles nel tuo album solista Hourglass parlano in modo diretto degli sforzi di essere un non-credente.
DG: Si, è una ricerca costante della speranza e della fiducia che ci sia un potere più grande che vede meglio le cose – perché, ovviamente, non stiamo facendo un bel lavoro.

Beh, l'”Are we human?” dei Killers è una domanda esistenziale grande e tagliente.
DG: Sei in grado di esprimere queste cose con la musica, che sia con le atmosfere della canzone o con il testo. La sento nei paesaggi delle canzoni dei Killers, sento questa ricerca.

Credo fosse Wagner ad aver detto che se vuoi trovare Dio, devi cercaLo nella musica.
BF: Dicono che fare la tua musica può essere quanto più vicino si possa arrivare ad una esperienza religiosa. Quando vado in chiesa, gli inni sono quelli che mi coinvolgono sempre di più. Potrei trovarmi in un giorno pieno di dubbi, ma appena sento la canzone gospel giusta, svaniscono. Non ci sono più dubbi.

Dave, sei stato parte nella distruzione di tutto quello a cui l’industria discografica si era abituata. È stato il punk, è stata la musica elettronica e le band l’hanno fatto. Adesso, la tecnologia sta cambiando le cose per le band, piuttosto che siano loro a controllare la rivoluzione. Come state entrambi affrontando questo problema?
BF: Sono sempre in paranoia a causa di YouTube (ride). Ma la cosa bella della tecnologia è che ti permette di fare una registrazione fantastica anche se ti trovi nella tua cucina.

Potresti affermare che è stato Daniel Miller a fare il primo passo in quella direzione. Disse che un ragazzo, solo con il suo sintetizzatore, era la cosa più punk in assoluto. E ha fatto questo incredibile pezzo di successo nei club, Warm Leatherette, sotto il nome di Normal, solo lui e il suo strumento.
DG: si, è stato piuttosto radicale al quel tempo. L’abbiamo usato come modello per il tipo di musica che volevamo fare. Venendo dal punk, sapevamo che non avremmo usato solo chitarra, basso e batteria. Ma potevamo collegare i nostri tre sintetizzatori ad un impianto audio e suonavamo in questi piccoli club a Londra. A quel tempo non era considerata musica “vera”.

Brandon, hai deriso la mancanza di ambizione da parte della cultura musicale generale, e con l’ultimo album dei Killers sembra che stiate puntando alla grandiosità. Gli U2 hanno avuto The Unforgettable Fire e i Depeche Mode hanno pubblicato Music for the Masses. State preparando il prossimo passo con molta cura?
BF: Beh, in tutta onestà, credo ci sia la paura di provarci. Tutte le band che ho ascoltato crescendo, ci hanno provato. Ora ci sentiamo abbastanza a nostro agio e non avremo paura di farlo.
DG: Giusto. Dovete andare fuori e seguire l’istinto. Abbiamo appena fatto un altro album prodotto da Ben Hillier, e mi ha detto che non ha mai lavorato con un vocalista che lavora sodo come me. Ma serve un sacco di disciplina per mantenere qualsiasi tipo di successo e crescita. Non è qualcosa che ti arriva dal nulla. Devi credere in quello che fai.

Cosa volete dare alle persone con la vostra musica?
BF: Non c’è mai stata una canzone che abbiamo pubblicato e che io non voglia cantare. È inevitabile che qualcun altro possa avere la stessa sensazione che ho io, quella trascendenza. Ad esempio, non importa quanto cupa possa essere una canzone dei Depeche Mode, c’è sempre qualcosa di incoraggiante.
DG: Non ho mai capito a pieno perchè la gente pensi che la nostra musica sia così deprimente. Stiamo facendo musica che parla della vita. Potrei cantare del nascondermi in mè stesso, ma la musica ti eleva. È una contraddizione umana. C’è un sacco di commedia nera nella nostra musica che non credo la gente capisca.
BF: L’ultima canzone in Black Celebration, But Not Tonight…(sospira forte in adorazione). La frase, “My eyes have been so red I’ve been mistaken for dead / But not tonight”. Quelli sono i momenti di cui parlo – in tutta questa oscurità c’è l’ottimismo.
DG: È la vita, ed è per quello che le persone ci si identificano.