Drum! [02-2018]
Dopo una lunga pausa di cinque anni tra gli album dei Killers e il debutto, con conseguente tour, della sua band, i Big Talk, era plausibile che il nativo di Las Vegas volesse spiegare le ali e volare da solo. Ma, dopo la pubblicazione di Wonderful Wonderful e un impegnativo tour mondiale in programma, sembra che sia vero il detto Killer una volta, Killer per sempre.
Il valore medio immobiliare per 10 m² nel benestante quartiere di SoHo a Manhattan è di 1.800$, e ciò significa che Ronnie Vannucci Jr, seduto stravaccato di fronte a me su una poltrona bianco candido nell’angolo di una stanza di hotel, sta occupando uno spazio che vale all’incirca 10.000$. Non sembra notarlo e non sembra importargli.
È una giornata umida di Luglio. Vannucci è a New York con i Killers per alcuni giorni per dare il via all’entusiasmo per il quinto album della band, Wonderful Wonderful. C’è un insolito livello di fermento attorno all’album, forse perché il frontman Brandon Flowers ha detto alla stampa che era “il più simile a Sam’s Town che abbiamo fatto”. L’antemico album della band, pubblicato nel 2006, è stato dapprima rigettato dai critici perché troppo artificioso ma, come è successo anche a Pinkerton dei Weezer e a Paul’s Boutique dei Beastie Boys, Sam’s Town si è evoluto da sequel incompreso a catalizzatore del percorso dei Killers verso la celebrità.
A oggi i Killers hanno venduto circa 22 milioni di dischi, sono stati nominati per sette Grammys, e hanno riempito arene grandi quanto lo Stadio di Wembley – anche se a dire la verità, preferirebbero essere a Las Vegas. E, infatti, quando la band è apparsa al Jimmy Kimmel Live! sul canale ABC quest’estate, lo ha fatto non dal cavernoso Masonic Temple di Hollywood, dove viene solitamente registrato il programma, ma da un palco montato all’esterno del Caesar’s Palace sulla Strip di Las Vegas. Il pensiero dietro a tutto ciò: se devi suonare nuove canzoni sulla tv nazionale, perché non farlo di fronte al pubblico di casa?
Ma Vannucci è momentaneamente prigioniero in questo hotel di New York, a migliaia di Km di distanza dal caldo secco della sua città nel deserto. Stravaccato, stanco per il viaggio e l’umidità. Flowers cazzeggia in silenzio nella stanza accanto. Il batterista mi racconta che, due notti prima del loro arrivo qui, la band ha lasciato Las Vegas verso Atlantic City, la tormentata capitale delle scommesse della costa orientale. “Abbiamo affittato il palco del Borgata per delle prove veloci per questi due concerti: un warm-up la sera successiva, mentre ieri abbiamo suonato a Philadelphia a un concerto sponsorizzato da una radio”, dice, mentre fissa i suoi malmessi stivali color noce. “Giusto per eliminare un po’ di ruggine”.
I membri dei Killers sono quattro da più di dieci anni, ma solo due di loro fanno parte della formazione in tour: Flowers e Vannucci. (Il chitarrista Dave Keuning e il bassista Mark Stoermer hanno scelto di registrare e basta senza andare in tour, citando motivi famigliari.) Flowers, con i suoi capelli in piega, le guance spigolose e giacche che calzano a pennello, incarna la tendenza allo spettacolo tipica di Bowie che caratterizza la band. Vannucci, con i suoi riccioli ribelli, barba alla Paul Bunyan, e maglie senza maniche, personifica, invece, la tenace etica del lavoro alla Springsteen. Come Flowers, Vannucci è nativo di Las Vegas – un musicista che trova conforto nella dicotomia deserto-incanto di una scena che sta ancora esplorando. Vannucci preferisce il lato più crudo della città.
“Abbiamo scoperto questo studio nel retro di un negozio di dischi in centro a Las Vegas,” ricorda Vannucci, e la sua voce prende vita. “Si chiama 11th Street Records. Si trova nella parte più vecchia di Las Vegas. Nella parte anteriore c’è un negozio di dischi e nel retro c’è una porta che dà su un posto in stile Sun Records. È gestita da un tipo di nome Ron Corso. L’ho incontrato una sera in un bar che si trova proprio accanto. Mi dice, ‘Si, ho uno studio, vuoi vederlo?’ E così l’ho visto. Il giorno dopo sono andato dagli altri e ho detto loro, ‘Dobbiamo registrare qui.’”
Ed è questo che i Killers hanno fatto, passando sei settimane a registrare Wonderful Wonderful.
Insofferenza, ma non troppa, è una massima popolare per musicisti ormai a metà carriera, e i Killers non fanno eccezione. La lentezza dei meccanismi nell’industria musicale delle etichette discografiche più grandi significa che può passare più di un anno tra lo scambiarsi idee di canzoni e togliere il cellophane dal prodotto finale. (I Killers sono sotto contratto con la Island Records, che condividono con Bon Jovi, Demi Lovato ed Elton John). Un tour, ormai diventato il modo principale per un musicista professionista per guadagnare, può durare anche due o tre anni per gli artisti più seguiti. Nei sei mesi successivi alla data di pubblicazione di Wonderful Wonderful, i Killers suoneranno circa 50 concerti tra Stati Uniti, Canada, Regno Unito ed Europa continentale. Il tour mondiale in supporto del precedente album della band, Battle Born, è durato 15 mesi, per un totale di più di 150 concerti nei cinque continenti. Si stima che abbia incassato 42 milioni di dollari solo nel 2013.
È comprensibile, quindi, che Vannucci & Co. preferirebbero stare più vicini a casa. “Sì, c’è il Shangri-La a Los Angeles o il Sunset Sound e tutti questi meravigliosi e classici posti per registrare. Ma se vogliamo il comfort di rimanere a casa e allo stesso tempo fare qualcosa di diverso…” La voce di Vannucci si affievolisce, mentre punta i tacchi degli stivali nel tappeto color cobalto. “Credo ci sia un tempo e un posto per tutto. Mi piace essere flessibile. È sempre meglio non essere troppo a proprio agio con quello che si fa. Si rischia di non essere più, diciamo, freschi.”
Quando vuoi andare a destra, vai a sinistra
Se volete avere la prova della ricerca di novità dei Killers, non dovete fare altro che guardare “The Man.” La canzone inizia con una linea di basso corposa e nebulosa che lascia poi il passo a un beat quasi dance e un riff di chitarra. Gli hi-hat sono cristallini, il rullante scoppietta, la grancassa batte forte e non ci crederete ma – è tutto vero, non è stata necessaria nessuna drum machine. Si tratta del primo singolo da Wonderful Wonderful e fa lo spavaldo con frasi come “I got gas in the tank/I got money in the bank/I got news for you, baby, you’re looking at the man.” Il video mostra Flowers che si pavoneggia camminando lungo la Strip di Las Vegas, mento in alto, cappello da cowboy inclinato. Dal punto di vista dei suoni è totalmente funk – un nuovo territorio per la band, con Vannucci che interpreta il famoso incedere di Leon “Ndugu” Chancler in Billy Jean. Dal punto di vista spirituale, si tratta di rock’n’roll.
Chiedo a Vannucci come ha iniziato il processo di scrittura di Wonderful Wonderful. “La batteria è l’ultima cosa a cui penso,” ammette. “Suono un po’ di chitarra, magari a volte suono qualcosa al piano, e faccio avanti e indietro tra questi. Molte di queste idee sono di Brandon.” La band è stata indaffarata con le demo per quasi un anno, scambiandosi pezzi di idee l’un l’altro via internet. “Abbiamo provato così tante direzioni diverse, sensazioni diverse, interpretazioni diverse di queste canzoni,” dice Vannucci – prima che l’album cominciasse a prendere forma. “Il primo segnale della direzione che dovevamo prendere è arrivato da una canzone,” dice, “e in seconda battuta dal produttore con cui abbiamo scelto di lavorare: Jacknife Lee.”
Si tratta di Garrett “Jacknife” Lee, il produttore musicale irlandese meglio conosciuto per il suo lavoro su Red, l’album infrangi-record di Taylor Swift, e la discografia degli U2 nel ventunesimo secolo. Lee vive e lavora in un complesso di edifici nel rustico Topanga Canyon, situato in un angolo della contea di Los Angeles a 300 metri di altezza sulla scintillante costa pacifica. Nella stanza principale del suo studio di registrazione, tra sintetizzatori, compressori, e drum machine, c’è un’insegna al neon che recita: “Abandon Taste” (Abbandonate il Gusto, ndt.). È questo ethos, dice Vannucci, che ha attratto i Killers verso Lee.
“È un tipo rock’n’roll,” dice Vannucci. “Crede nel rock’n’roll. Ma capisce che le cose devono cambiare. Bisogna fare qualcosa di diverso. Nessuno vuole sentire qualcosa di già fatto. Vogliono sentirne dei pezzetti – il DNA deve comunque essere evidente. Ma bisogna approcciarsi al tutto in modo diverso”.
Come suonerebbe una band se si chiedesse ai suoi membri di far finta di non conoscersi molto bene o di non conoscere i propri strumenti? Come suonerebbe se non si potessero usare gli strumenti che la contraddistinguono? E se venisse detto loro di suonare come un’altra band? I Killers hanno esplorato varie strade sotto la guida di Lee.
Vannucci dice che ha trovato questi esercizi liberatori. “È stato molto interessante adottare quel tipo di mentalità,” dice. “Il lavoro di un batterista è molto fisico. Bisogna sentirlo. Bisogna abbandonare questa sensazione e la propria intuizione. A volte ciò significa non suonare con eleganza. O sembrare una macchina. O pestare sulla batteria fino quasi a romperla. O non suonare con gli hi-hat. Fare qualcosa di completamente diverso da quello che si fa di solito. Quando il tuo corpo ti dice di andare a destra, vai a sinistra. Dieci anni fa non avrebbe funzionato: ‘No, questo sono io, è quello che sono.’ Adesso sono più vecchio e saggio. Mi piace la sfida.”
Accettare le sfide
I critici musicali hanno sempre avuto un rapporto amore-odio con i Killers. Il conflitto si basa sull’ormai vecchia convinzione dell’autenticità nell’industria musicale. La band del debutto di Hot Fuss (“Mr Brightside,” “Somebody Told Me”), periodo 2004, è stata accolta per i suoi testi memorabili ma derisa per l’uso sfacciato e per niente ironico dell’eyeliner – troppo sfarzo per una band rock seria. La trasformazione della band in qualcosa di più ampio e americano con Sam’s Town del 2006 (“When You Were Young,” “Bones”) è stata respinta perché copiava il Boss e la sua E Street Band, prima della sua vendetta in tempi recenti. Pubblicazioni successive – Day & Age nel 2008; Battle Born nel 2012 – hanno provato a eliminare la differenza tra questi due, senza però accontentare nessuna fazione. Anche se i Killers hanno continuato a raccogliere fan e ad aumentare i ricavi per i biglietti venduti, i critici fissavano le loro sonorità altalenanti, deridendo la band perché si affidava a cliché e a innovazioni di altri artisti nel proprio lavoro. Le critiche sembravano indirizzarsi verso un tema comune: una band ambiziosa nata sulla Strip di Las Vegas non può essere genuina. “Umano o ballerino?” un critico si è chiesto nel 2008, facendo riferimento al ritornello di uno dei singoli della band. “La risposta potrebbe essere nessuno dei due.”
Ma esaminando con attenzione si scopre che i Killers sono stati sorprendentemente consistenti dove conta. (Basta guardare le copertine degli album, una processione continua dell’immaginario di Las Vegas). Ogni album bilancia sostanza e saccarosio; ogni pubblicazione prende un elemento del sound della band e lo esplora in profondo. Wonderful Wonderful lo fa ancora di più, ridà vita alla carica disco del debutto dei Killers. Per Vannucci ciò significa avventurarsi in incalzanti beat new wave e un crescente lavoro ai cimbali – spavalderia disco in “The Man”, trainanti drum machine in “Run for Cover” e “Tyson vs Douglas,” battiti pensierosi ed effettati nella canzone che dà il titolo all’album e in “Some Kind of Love.”
Gran parte del lavoro nel ritmo del nuovo album è il risultato di una performance lineare in studio, dice Vannucci. È una cosa naturale. Ma le parti più interessanti – quelle a cui i lettori di questo giornale sono interessati, pensa – sono versioni sgonfiate e modificate di momenti più interessanti ed organici, “tagliuzzati, mutilati, fatti diventare una sorta di Frenkenstein,” dice ridacchiando. È qui che le cose si fanno interessanti. È in queste situazioni che incidenti non voluti diventano folli esperimenti. Certo, c’è sempre il rischio di incappare nella sovraproduzione in stile Chinese Democracy, e Vannucci ammette che in varie occasioni ha dovuto trattenersi. Ma assicura che l’approccio è giustificato.
“Sto facendo un album,” dice quasi difendendosi. “Ci sono stati album in cui abbiamo fatto una registrazione live noi quattro in una stanza. Ma voglio anche provare nuove strade. Sono nel mezzo di un viaggio. Qui si creano album. Tutte le cose belle che sono state create in passato e che non erano mai state fatte prima, sono il risultato di prove ed errori. Non voglio mettermi una museruola e trattenermi dal provare nuove cose. Sono un musicista. È una cosa che amo. Se non si è disposti a provare nuove cose nella musica ci si limita. Bisogna andare oltre i propri limiti.”
Vannucci ammette di essere in ansia nel fare ascoltare il nuovo materiale del Killers alle persone (Wonderful Wonderful ha raggiunto la posizione numero 1, il primo nella loro carriera.) Quando finisci un album, dice, la tua sete creativa viene soddisfatta. Un mese dopo, hai di nuovo sete. Gli chiedo cosa i lettori di Drum dovrebbero cercare di ascoltare quando metteranno le loro mani su Wonderful Wonderful. La domanda sembra infastidirlo. Si ferma per un momento e si gratta la barba pensoso.
“Quando fai parte di una band la batteria non è l’unico strumento,” dice. “Quindi non lo approccerei in quel modo. Pensare alla sola batteria per un gruppo che scrive canzoni pop rock’n’roll è ingenuo. Quindi guardo a tutti i pezzi nella loro interezza. Credo sia importante – tutti nella band si ascoltano a vicenda. Dò e ricevo commenti sui beat, testi, chitarra e basso. Tutti nella band hanno un approccio olistico nelle canzoni.”
E sia. Cambio marcia e chiedo a Vannucci come si sente ad essere l’auto conclamato musicista pop rock in un modo hip-hop. Il giorno del nostro incontro la canzone numero 1 negli Stati Uniti è un remix di “Despacito,” la collaborazione in doppia lingua tra Luis Fonsi, Daddy Yankee e Justin Bieber. Subito dietro ci sono i singoli di DJ Khaled e Bruno Mars. L’unica canzone rock vicina alla cima è “Believer” degli Imagine Dragons, grazie al suo utilizzo in molti trailer di film. Il resto della lista è quasi totalmente hip-hop: Kendrick Lamar, Future, Lil Uzi Vert, Migos.
Dico a Vannucci che l’ultima grande ondata di musica rock era arrivata quando i Killers sono arrivati in radio per la prima volta. Era il periodo in cui il revival post-punk – The Strokes, White Stripes, Mooney Suzuki e così via – era all’apice. Dici che ti piace andare oltre i limiti e provare nuove cose. Fai parte di una delle band rock più importanti dei nostri giorni. Cosa ne pensi dello stato in cui si trova questo genere di musica?
Vannucci non esita. “Credo che si debba essere flessibili e pronti a cambiare usando la propria voce,” dice. “Sono un batterista. La mia formazione è più jazz e anni ’60. Quelle sono le mie radici. Mitch Mitchell è il mio batterista preferito. Buddy Rich. Papa Jo Jones. Tutti loro – è da lì che discende il mio DNA. Max Roach. Tony Williams. I primi lavori – li amo. È questo tipo di musica che mi trovo più a mio agio a suonare. Ma devo essere pronto a fare cambiamenti, mettere frecce diverse al mio arco. Se un batterista non sa suonare uno shuffle beat, o una bossa nova, o il beat di ‘Rosanna’ di Porcaro [il batterista dei Toto], e a farlo con sicurezza, allora non è un vero batterista. È solo un tipo che sa suonare musica rock. Bisogna arricchire le proprie conoscenze.”
E allora come fa Vannucci a mantenere le cose interessanti? Instagram. È felice di ammettere che sa a malapena come funziona ma lo usa per tenere traccia di batteristi innovativi come Mark Guiliana (“ciò che è in grado di fare è fantastico”), Billy Martin (“una bestia hippie”) e Brian Blade (“uno dei miei batteristi preferiti in assoluto”). È un modo per mantenere una prospettiva rispetto al proprio modo di suonare. “La cosa più importante è imparare ad ascoltare,” dice. “Non puoi suonare bene a meno di ascoltare bene.”
Chiedo a Vannucci se pensa di essere un ascoltatore migliore rispetto a quando ha iniziato a suonare musica da piccolo.
“Credo di migliorare ad ogni album,” dice.
Dare aria alle hit
Vannucci sorride ricordando il concerto che hanno suonato la sera prima a Camden, nel New Jersey. Si celebrava il decimo anniversario della Radio 104.5, stazione alternativa di Philadephia, che si trova dall’altra parte del fiume rispetto a Camden. Suonare a questo tipo di data è normale per una band che lavora sodo come i Killers, una fermata necessaria durante il lungo circuito promozionale che anticipa una nuova pubblicazione. “Bisogna fare il baciamano perché suonino la tua musica,” dice Vannucci senza giri di parole.
Ma non è per questo che sta sorridendo. Dopo molti mesi di pignoleria durante la fase di registrazione, Vannucci era semplicemente contento di tornare sul palco e fare quello che sa fare meglio. Lo spirito del concerto a Camden si ripresenta. “È stato proprio un bel concerto,” dice, sorridendo apertamente. “Molto umido.” La temperatura quel giorno è arrivata a 34,5°. “Era davvero caldo lì sopra,” dice. “Non passava un filo d’aria. Ma il pubblico è stato fantastico. E così abbiamo reciprocato quell’energia.”
La precisione non è stata certo la caratteristica del concerto. Anche se la band è stata perfetta in una set list che percorre tutta la loro carriera, si è vista un’attitudine di spensieratezza. Per gran parte del concerto, Vannucci è coperto di sudore, con le braccia, non costrette da maniche, che si agitano sopra la batteria. Tutti si divertono.
“Dopo quattro canzoni mi sono lasciato andare,” dice il batterista. “Sapevo che il mio cervello non funzionava a causa del calore, e non sono in forma, e quindi ho pensato ‘Fanculo, la passione prima di tutto. La gente non è qui per avere tutte le note perfette. Dà loro delle note da ricordare.’ È stato molto divertente.”
Io e Vannucci iniziamo a discutere del prossimo tour della band e come pensa di interpretare gli elementi programmati e manipolati di Wonderful Wonderful nella dimensione dal vivo. “Non potendo usare 40 rullanti e tutti i trucchetti da studio, bisogna dare il meglio per rendere il tutto credibile da essere cantato in una dimensione live,” dice. “Nel ritornello ci aggiungo gli hi-hat. Anche nell’ultimo ritornello, che è sovrainciso, anche se si sente poco nel mixaggio…”
A metà della spiegazione di Vannucci, la voce agitata di Flowers comincia e sentirsi dall’altra parte del muro. “… Brad Pitt … Non puoi, voglio dire è così …’” Il frontman è agitato per qualche motivo e sta urlando abbastanza forte da interrompere la nostra chiacchierata. Io e Vannucci ci fermiamo ad ascoltare.
“… tutti dicono così da 20 fottutissimi anni! E tu l’hai detto di nuovo! E Ronnie … E io ho detto di no …”
Vannucci inizia a ridere, lasciando incompleta la risposta alla mia domanda. Non capisco tutto quello che Flowers sta dicendo per mettere assieme una battuta, e così chiedo a Vannucci quale sia il motivo che ha alterato così il suo compagno di band. Dice che si tratta di un’intervista radio che hanno fatto ieri. “È stata davvero strana,” dice. “Hanno chiesto ‘Chi vorreste che vi interpretasse in un documentario o film su di voi?’” La domanda sembra aver irritato Flowers; non Vannucci. “Ho detto, uhm, Jamie Foxx,” dice il batterista alzando le spalle.
Flowers entra nella stanza, paonazzo in viso a causa della ramanzina. Vannucci si gira e, con uno sguardo malandrino, si rivolge direttamente al suo compagno di band.
“Una delle cose di cui stavamo discutendo era l’ascoltare,” dice con tono scherzosamente accusatorio. “Come stiamo cercando di diventare migliori ascoltatori.”