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Clash [26.05.2022]

C’è una parte di Brandon Flowers che apparterrà per sempre al Regno Unito.

Il frontman dei Killers ha passato la sua adolescenza leggendo attentamente le copertine degli album di band britanniche, e come atto di ribellione di quell’età stava pensando di farsi un tatuaggio degli Oasis.

È stato quindi piuttosto appropriato che i Killers siano esplosi dapprima proprio in Regno Unito. Una serie di frenetici concerti ha portato ad alcuni singoli di successo, e poi il resto del mondo si è messo al passo.

La pandemia ha tenuto i Killers lontani dalla strada, ma ha dato loro il tempo necessario per completare due bellissimi album – il roboante Imploding the Mirage con la sua eco da stadio, e l’intimità da cittadina rurale raccontata da Pressure Machine.

I Killers sono finalmente riusciti a trasformare i loro sogni di concerti in realtà, e così Brandon Flowers si è preso una piccola pausa dal tour bus per parlare con Clash.

Dobbiamo assolutamente iniziare parlando della possibilità di poter finalmente tornare a suonare dal vivo, una gioia che vi è stata negata da quando è iniziata la pandemia. Come ti senti a salire di nuovo sul palco?

Abbiamo suonato ieri sera a Doncaster, e anche se dovrebbe essere come una seconda pelle per me, è una sensazione che mi è davvero mancata. È parte della mia identità – quando abbiamo dato vita alla band, non è una cosa a cui pensavo. Tutto è iniziato con le canzoni e il poter stare assieme, capisci? Ed è stato proprio un bel periodo, ma tutto è diventato più reale quando siamo dovuti andare in tour e suonare quelle canzoni davanti alle persone. È stato un po’ come realizzare che c’è un’altra parte dell’essere band che dovevamo imparare! All’inizio è stato un ostacolo, ma è diventato qualcosa che amo. E in più sono da Las Vegas, cosa che credo mi abbia aiutato molto a presentarmi al pubblico.

Mi ha colpito il fatto che gli ultimi vostri lavori abbiano un’atmosfera piuttosto diversa tra loro. Come siete riusciti ad essere fedeli a questi due album sul palco, mantenendo però il tutto equilibrato?

È difficile. Questi posti sono enormi e Pressure Machine non è stato creato pensando ad essi. Quindi non avrà molto spazio sul palco se paragonato al resto dei lavori passati. Stiamo ancora cercando di capire bene come fare, come organizzare il tutto per uno stadio. Al contrario, Imploding the Mirage è stato fatto per questi spazi. Li avevamo in mente mentre lo stavamo creando, e mentre stavamo decidendo la setlist. Abbiamo aperto i concerto con My Own Soul’s Warning ed è sembrato totalmente naturale!

Imploding the Mirage ha avuto molte voci ospiti – ad esempio quella di Alex Cameron, che ha co-scritto alcune canzoni con voi. Cosa porta come collaboratore, è una bella persona da avere in studio?

Sì, è un bravo scrittore e mentre stavamo scrivendo Imploding the Mirage ero rimasto bloccato un paio di canzoni. Avevo già lavorato con lui in una canzone intitolata Run for Cover da Wonderful Wonderful, e siamo diventati ottimi amici. È stato super utile e un gran piacere averlo con noi per qualche settimana a cercare idee. È davvero una bella persona con cui confrontarsi.

C’era anche Lindsey Buckingham nell’album, che deve essere stata un’esperienza elettrizzante.

Sì! C’è stato un momento in cui ho sentito come se dovesse esserci una strana unione di band, cosa che non è successa, ma è stato grandioso anche solo stare nello stesso studio di Lindsey. Conosciamo bene i suoi lavori e siamo onorati di averlo avuto con noi – è folle che leggende come lui siano ancora in vita, perché sembrano mitologiche! È stato incredibile stare in studio con lui e vederlo mettere in pratica tutta la sua esperienza, e poi anche cenare con lui.

Ti senti ancora un fan? Crescendo sei stato un grande amante della musica, significava tutto per te, e hai avuto molto successo. Quando incontri queste leggende ora, ti ricordi di quando eri bambino e fan della musica?

Sì – ho cercato di stare tranquillo ma poi mi sono accorto che ho iniziato a camminare avanti e indietro quando mancavano 10 minuti al suo arrivo, ho guardato l’orologio e fuori dalla finestra per vederlo arrivare in macchina… Ma è stato davvero gentile e mi ha subito tranquillizzato.

Una domanda un po’ da nerd su Dying Breed, perché Clash ha intervistato Michael Rother poco dopo la pubblicazione dell’album e lui ha menzionato il fatto che avevate cercato di usare un sample di un suo lavoro. È presente nella versione finale dell’album?

Sì! La batteria che si sente all’inizio di Dying Breed è un piccolo sample. È una cosa con cui abbiamo giochicchiato in studio, e mi piace l’idea di contattare le persone per capire se ci sia la possibilità di raggiungere un accordo e condividere la musica.

Questa è una cosa che adoro dei Killers! Per quanto si possa creare in lungo e in largo, molte canzoni si basano su questi piccoli dettagli. In qualche modo Pressure Machine e Imploding the Mirage usano questa stessa tecnica, ma con risultati completamente diversi.

Sì, sicuramente dal punto di vista del soggetto, è stato un grande impegno avere queste canzoni roboanti e grandiose melodie, ma girano tutte attorno a questa immagine. Iniziamo il concerto con quell’immagine, è la prima che si vede sullo schermo. È un dipinto con cui avevamo tappezzato lo studio, ed è alla base dei testi, della struttura, e degli strumenti che abbiamo usato, è diventato un membro della band.

Un’altra persona con cui avete lavorato è James Bay, che ha lodato il lavoro che avete creato assieme! Ha anche detto che parte del lavoro e delle idee non sono ancora finiti o comunque stati pubblicati. Pensi che potreste riprenderli in mano in futuro?

E’ difficile trovare il tempo, haha! È stato bello incontrare James, è venuto in Utah e lavoriamo con lo stesso produttore (Ariel Reichstad).

So che da ragazzino volevi farti un tatuaggio degli Oasis. Ti senti ancora una sorta di anglofilo, c’è qualcosa della musica britannica che cattura la tua attenzione?

Non come una volta, ma ovviamente è parte del mio DNA. Non mi sono resto conto di quanto americano fossi prima di arrivare qui nel 2003. Ma ho amato questo posto, e sì, gli Oasis sono stati una delle prime band che ho scoperto e amato da solo. Mio fratello mi aveva fatto conoscere i New Order, gli Smiths, i Cure, e loro sono sembrati come una progressione naturale negli anni ’90 che potevo rivendicare. Si trattava di scegliere per lo più tra Radiohead o Oasis, e io sono stato attratto di più verso loro alla fine.

Figo! Beh, suonerete all’Emirates Stadium, che non è lontanissimo da dove vive Liam Gallagher, magari vi sentirà dal suo giardino.

Hahah, sì, buon per lui!

Un’altra canzone che state suonando, e lo fate da tempo ormai, è la cover di Shadowplay. Com’è per te, come cantante, cantare le canzoni degli altri? C’è un’energia diversa?

In realtà la sentiamo come una nostra canzone, ma è anche una di quelle che ho amato crescendo, e mi dà un attimo di pausa durante il set! Molte delle nostre canzoni non sono esattamente facili da regolare o suonare, è una canzone movimentata ma la mia voce ha un registro più basso e poi ha molte parti solo strumentali, quindi ha anche una funzione oltre ad essere una grande canzone.

I membri dei New Order hanno ricordato la vita di Ian Curtis di recente – sono passati 42 anni da quando è scomparso – e hanno parlato al Parlamento Britannico di alcuni modi in cui potremmo migliorare la salute mentale. Credi che possa, o debba, essere fatto di più per proteggere la salute mentale dei giovani musicisti?

L’industria musicale potrebbe fare di più. Credo che ultimamente se ne stia parlando di più di quanto sia mai stato fatto in passato, ed è un buon inizio per renderla una cosa meno taboo. Credo che i giovani musicisti abbiano più possibilità di essere aiutati adesso perché c’è meno stigma collegato a questa situazione. È un’ottima cosa, e quello per cui i New Order stanno combattendo è poco considerato da molte persone, ed è bellissimo che possano usare la loro piattaforma per una missione così nobile.

Riguardando la vostra setlist, c’è anche Read My Mind. Una volta l’hai descritta come la canzone preferita che abbiate mai scritto. È ancora la tua preferita, la numero uno?

Probabilmente è cambiata, ma sono ancora assolutamente orgoglioso di Read My Mind, e felice di averla scritta. Ma le cose ovviamente cambiano.

Hai detto che la prima volta che siete venuti in Regno Unito è stato un vero turbinio per voi! Com’è stato, per voi nuovi arrivati, venire a Londra e nel Regno Unito per la prima volta e vedere quelle reazioni?

È stato un periodo davvero entusiasmante, eravamo grandi fan dei White Stripes e degli Strokes, e ripercorrere i loro stessi passi, venire qui a combattere la nostra battaglia musicale è stato surreale, ma comunque fantastico. Abbiamo imparato tantissimo e ci ripensiamo ancora con piacere perché quel viaggio è stato un trampolino di lancio.

Sicuramente. Sono interessato da quello che hai detto prima, sul fatto che quel tour ti ha fatto sentire più “Americano.” Gli Stati Uniti sono un posto talmente vasto, come puoi darne una definizione? Le coste e l’entroterra dell’Ovest sono così diversi, cosa significa per te avere una mentalità da Americano?

Mi ha fatto sentire molto Americano del Sud Ovest, perché siamo molto diversi. Non ero mai stato nella costa Est prima di firmare il contratto discografico, ma potevo vedere quanto fossimo diversi dalle persone che ci abitano, visitare di più il Sud mi ha come risvegliato. È sicuramente un posto vastissimo, con diverse caratteristiche, ma avevo una certa idealizzazione del Regno Unito, l’impatto culturale è stato devastante. Il tempo è assolutamente diverso da Las Vegas, questo è sicuro. Ma amiamo stare qui, la mia famiglia è venuta con me e stiamo stati qui un po’, quindi ormai sentiamo un enorme affetto per questo posto.

Pressure Machine punta sicuramente ad una vita Americana ben precisa. Credi di aver detto tutto quello che potevi su quell’argomento e quelle vite, così da spostarti su un altro territorio per il prossimo album, o c’è ancora da esplorare?

In realtà sono rimasto piuttosto stupito di quanto avessi da dire nell’album. Dicono che si ha una vita intera per scrivere il primo album, ed è vero, per cui Hot Fuss ha catturato una sensazione che era pronta ad esplodere. Ma avevo ancora questo segreto dentro di me, sventolavo la bandiera di Las Vegas e dei Killers e avevo paura di avventurarmi nel territorio in cui ero cresciuto, lo Utah. Quando ci sono andato ho trovato che l’unica cosa di cui riuscivo a scrivere era quelle esperienze – ho aperto questa porta che ho tenuto chiusa per tanti anni, e ho continuato a portare nel mio subconscio finché non mi si è aperta davanti da sola. Avevo così tanti personaggi e storie, trionfi, avidità, tutte queste emozioni che sono riuscito a descrivere, ed è stato uno dei periodi più appaganti della mia vita creativa. Credo proprio che mi ci vedrei a scrivere ancora di tutto ciò.

A me è sembrato come un romanzo o un film, ti è mai venuta la voglia di avventurarti in una di queste due direzioni? O senti che scrivere canzoni sia il modo di esprimerti che meglio ti appartiene?

Scrivere canzoni è già abbastanza difficile! Sono stato sicuramente influenzato da un paio di libri – c’è un libro di Steinbeck intitolato ‘I Pascoli del Cielo’, in cui ci sono diversi racconti brevi che hanno luogo tutti nello stesso paese, e ho fatto il mio meglio per cercare di dare giustizia a quella idea e la mia esperienza di crescita nello Utah.

Ultima domanda, avete dei rituali pre-concerto?

Niente in particolare di troppo strano. Ci ritroviamo tutti assieme prima di salire sul palco e avvicinarci ad una setlist, e ripetiamo velocemente il programma. Ci sono tante cose che succedono, quindi condividiamo alcuni dettagli di ciò che abbiamo fatto giusto o sbagliato in passato. Cerchiamo di trovarci tutti sulla stessa pagina! Io poi prego prima di salire sul palco, una cosa che non dico mai di solito. Voglio dire, non è che mi rinchiudo in uno sgabuzzino e mi metto in ginocchio, ma cerco di farlo dove mi trovo e posso.

FonteClash