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Musikexpress [03-2007]

Dubbi su se stessi, difficoltà con la lingua, prove estenuanti, e, alla fine, un concerto trionfale: ME accompagna i Killers nel loro tour in Giappone attraverso tutti i loro alti e bassi.

É quasi una visione spettrale: sebbene lo Zepp, un’alta sala da concerti al porto di Tokyo, sia affollata da più di 2000 persone, c’é un silenzio quasi totale. Niente musica, niente urla, niente fischi, non si può sentire una sola parola detta ad alta voce – finché lo show comincia, la maggior parte dei giovani stanno semplicemente così, in silenzio. Non meraviglia che il personale sul palco guardi la sala con sospetto più volte durante i preparativi – se non sapessero che questa silenziosa folla dai capelli corvini ha speso una bella cifra per i biglietti, si chiederebbero se sono venuti per i migliori.

Backstage, nello spoglio guardaroba dei Killers, illuminato da neon, nessuno è interessato a farsi un’idea della situazione. Il resoconto di quello che succede fuori non sembra sorprendere la band. “Aspetta solo di sentire come si comportano queste persone tra le canzoni – nessun rumore“, dice Brandon Flowers mentre dal buffet prende del cibo probabilmente non giapponese. I Killers erano già stati in questo paese nel Marzo del 2005, e i loro ricordi sono per lo più non molto brillanti. “Il peggio è stato Hiroshima“, dice il chitarrista Dave Keuning, “Abbiamo suonato di fronte a 80 persone – erano tutti soldati americani“.

Con il secondo album, Sam’s Town, alcune cose sono cambiate per i Killers, non solo in Giappone. Dopo un debutto così così con Hot Fuss, qualcuno si aspettava che sparissero ancora con la tendenza anglofila Neo New Wave che stavano seguendo – ma i 4 ambiziosi musicisti di Las Vegas hanno deciso di fare un balzo in avanti: con la produzione ampollosa del team che ha fatto esperienza con gli U2, Alan Moulder e Flood, un libretto del cd molto alla Joshua Tree fatto da Anton Corbijn, e un nuovo stile musicale – “rock da stadio a stelle e strisce” – si sono proprio reinventati. Guidati dall’ambizione, si sono rifatti ai loro maggiori modelli, gli U2, per arrivare un giorno a suonare in sale piene in tutto il mondo. Potrete amare o odiare i Killers, ma non potete ignorarli.

In Giappone, le sale prenotate sono già visibilmente più grandi che nello scorso tour. Ma nonostante lo Zepp sia pieno(e qui non ci sono molti soldati americani), non si vede alcuna traccia di anticipazione dietro le quinte mezz’ora prima dell’inizio. Una miscela di stanchezza e nervosismo sembra paralizzare tutti i 4 membri del gruppo. Brandon appare esausto – siccome i Killers non hanno suonato per alcune settimane, si sono trovati a mezzogiorno per le prove durate per quasi 4 ore senza nemmeno una pausa. Questo tour ad ogni modo non era fatto per essere un viaggio di piacere: la band ha cominciato a girare il nuovo video per Read My Mind già il giorno successivo al loro arrivo a Tokyo – hanno fatto quasi 40 ore non-stop. “Abbiamo fatto così perché non ci sono sindacati qui, apparentemente“, dice Brandon, scuotendo la testa. “Fintanto che paghi la troupe per le riprese, puoi usarla finché collassa“.

Solo quando il tour manager bussa alla porta la band si risveglia dal letargo. Attraverso uno stretto passaggio si dirigono verso la porta del palco, dove i 4 musicisti formano un piccolo cerchio. “Andiamo“, dice Brandon e tocca le mani dei suoi compagni. Dave, il bassista Mark Stoermer e il batterista Ronnie Vannucci, ognuno di loro spinge avanti un piede finché le punte si toccano. Quello che segue non sono grida di battaglia, solo un breve momento di raccoglimento comune.

Quando la musica per l’intro parte nella sala, e, quasi nello stesso momento si può sentire un applauso decisamente forte, Brandon immediatamente rompe il cerchio. Adesso c’è l’adrenalina che scorre nelle vene di tutti i membri della band, e ognuno la fronteggia come può: Ronnie suona la batteria per aria in maniera febbrile, Mark saltella nervoso da un piede all’altro, e Dave, che ama l’atteggiamento rock degli anni ’70 sul palco, piega la testa all’indietro e chiude gli occhi. Il cambiamento più grande può essere notato in Brandon: una magica energia comincia a scorrere nelle vene del cantante subito prima dello spettacolo. Ripetutamente salta su e giù con le braccia strette al corpo, e urla forte “Yeah, yeah, yeah!“. Qualcuno gli allunga una Red Bull, ma lui la da indietro dopo averne bevuto solo un sorso. Il tour manager fa il conto alla rovescia e, alla fine, dà l’avviso “Entriamo!“. Quando Brandon oltrepassa la porta dopo gli altri, i suoi occhi risoluti si riempiono di una paura folle, mentre si lascia sfuggire un soffocato “FANCULO!“.

Tokyo accoglie calorosamente i Killers. I fans, che sono stati così riservati e silenziosi prima che lo show cominciasse, adesso sono completamente estasiati. Migliaia di braccia si allungano, e quando Brandon, dopo Sam’s Town, la canzone di apertura, comincia a suonare la kitsch Enterlude sulla sua tastiera, l’intero pubblico canta insieme, in modo sorprendentemente fluente. Le sue preoccupazioni erano senza ragione – sebbene né lui né i suoi compagni possono arrendersi a una certa rigidezza stasera, le acclamazioni non smettono del tutto tra le canzoni. La folla festeggia i nuovi singoli, Bones e When You Were Young con lo stesso entusiasmo che ha avuto per i vecchi successi Mr Brightside e Somebody Told Me. Quando, dopo circa 75 minuti, lo show termina con Exitlude, i fan se ne vanno con le facce felici. I Killers sono gli unici a non essere del tutto soddisfatti dello spettacolo. “Abbiamo avuto un sacco di piccoli problemi tecnici“, mormora Dave, e lui e i suoi compagni vanno subito nel camper che li porta al loro hotel nello stiloso distretto di Shibuya.

Quando la mattina dopo i Killers e la loro squadra prendono il treno ad alta velocità che li condurrà dalla stazione di Tokyo a Nagoya, l’atmosfera continua a non essere rilassata. “Non abbiamo ancora molto successo in Giappone“, dice Brandon dopo essersi seduto vicino al finestrino. “Abbiamo venduto solo 20.000 copie di Hot Fuss qui, penso“. In tutto il mondo, finora, hanno venduto l’impressionante cifra di 5 milioni di copie dell’album di debutto. Anche Sam’s Town è partito bene – negli Stati Uniti è platino – ma c’è ancora spazio per migliorare. L’album polarizza: dove c’è una recensione positiva c’è anche una sconfitta bruciante. Mojo lo ha definito una “bomba piena di azione”, ME ha assegnato al cd 4 stelle – benché il giudizio del dipartimento editoriale sia davvero controverso. NME l’ha premiato, dopotutto, con 8 su 10 punti per il “grizzly-man-rock“, ma si riferisce anche ai Killers come ad una band “orribilmente ostentata” e “involontariamente divertente” nella stessa recensione. PopMatters e il New York Times hanno censurato l’album, ma è stato il Rolling Stones a farlo nel modo più duro: “Sam’s Town suona come se stessero cercando di fare una grande dichiarazione. Il problema è che non hanno niente da dire“.

Brandon pensa di aver semplicemente sfidato duramente la critica con il suo comportamento eccessivamente sicuro di sé. Ora si rammarica di aver definito Sam’s Town “uno dei migliori album degli ultimi 20 anni” prima che fosse pubblicato. “Ricordo esattamente dove e quando ho fatto questa affermazione. Non avevo idea delle conseguenze che avrebbe avuto“, dice serio. Guarda fuori dal finestrino, dove scorre il paesaggio densamente popolato della zona sud di Toyo, ma è preoccupato – a 9000 km da qui. “Ero a Las Vegas, all’ingresso della mia casa – penso fosse aprile. Stavo fumando una sigaretta e facendo un’intervista telefonica. Avevamo appena registrato ‘When You Were Young’. Quello che ho detto mi sembrava la verità in quel momento. Adesso qualche volta non lo trovo più tanto grande“. Quando Sam’s Town è uscito in autunno, c’era a malapena qualche articolo che non contenesse riferimenti derisori all’affermazione esagerata di Brandon. Durante le interviste, all’inizio ha continuato a difendere audacemente la scelta delle sue parole, ma adesso sa che non ha fatto un favore né a se stesso né alla sua etichetta discografica. “Non ero mai stato in un gruppo che fosse così tanto sotto i riflettori“, dice, cercando improvvisamente di stabilire un contatto visivo. “E poi sono stato al telefono con qualche stupido ragazzo a New York, e improvvisamente – per colpa di una frase – tutti analizzano i minimi dettagli questo piacevole album come quando pettini per trovare anche il più piccolo nodo. Quanto è strano tutto ciò?! Abbiamo lavorato così duramente, le canzoni vogliono dire tutto per me. E adesso, questo lavoro così importante è rovinato – a causa di 2 secondi al telefono. Ma ho imparato qualcosa. Non dirò niente di simile sul terzo album“.

A quello che Brandon Flowers dirà o meno in futuro, ci ha pensato molto spesso in queste ultime settimane. “Sono solo troppo sincero – se me la chiedi, ti do la mia opinione“, dice, cercando di spiegare perché nessun altro gruppo nel mondo ha parlato male più di loro dei colleghi negli ultimi 2 anni. Bravery, Panic!At The Disco, Fall Out Boy, The Stills, The Secret Machines, anche Tom Yorke sono stati criticati da Brandon nelle interviste. “Adesso sono conosciuto soprattutto per le mie esternazioni negative. Questo è merdoso – a dire il vero non sono per niente così“, dice e scuote la testa. “Mi piacciono il cibo, i libri, i film…amo la vita, sono una persona comune“. Quando realizza cosa sta dicendo, ride in modo strano, come tossendo – una risata che è così calma che inspira più aria di quella che espira. “Penso che questo (parlare male delle altre band) sia un meccanismo di difesa“, continua mentre annuisce in segno di comprensione come se volesse convincere il capo di un gruppo di auto-aiuto. “Esattamente, è così: sono insicuro a causa del mio vocabolario, il mio modo di parlare e la mia educazione. E se sono forzato a parlare, compare questa caratteristica – me la prendo con gli altri“.

Che Brandon sia ormai noto per essere una persona “difficile” – il che non è del tutto sbagliato – è apparentemente dovuto alla poca autostima che ha. “L’immagine significa molto per me“, confessa, e perciò è costantemente preoccupato di commettere errori. Il nostro fotografo, Olaf Heine, non deve fare foto al cantante senza il suo permesso – ogni cosa deve essere controllata con lui dalla direzione. Il sospetto contro tutto il mondo e suo fratello che permette che il 25enne qualche volta appaia timido e ostile durante le interviste, è in effetti probabilmente rivolto a se stesso. “Non sono così intelligente“, dice, “e penso che le mie risposte non siano abbastanza valide. Divento timido: sono un grande fan di Morrissey e Bowie – loro sono intellettuali che fanno citazioni interessanti. Io non ho molto da dire. Questo è un altro motivo per cui critico spesso – se vuoi sapere la mia opinione sulla musica emo, è facile per me rispondere, sai? Non mi piacciono le interviste. Vorrei solo scrivere canzoni e venire pagato per questo – questo sarebbe il mondo perfetto per me“.

Un po’ dopo, c’è un altro mondo perfetto fuori dal finestrino – e ci ricordiamo piacevolmente di essere in Giappone: dopo una lunga curva, il maestoso monte Fuji appare all’orizzonte, e si sentono mormorii in tutto il vagone. Nemmeno i nativi possono fare a meno di lanciare uno sguardo al famoso monte coperto di neve. Brandon si alza e raggiunge gli altri. Ronnie intrattiene Dave e Mark: il batterista ha scoperto un passeggero che dorme con una mascherina e vuole farsi fotografare mentre gli siede accanto. Alla fine riesce a spostare con delicatezza il bagaglio del passeggero in un altro sedile. Con meno cura la band tratta il suo addetto al merchandise (The Captain): quando il barbuto uomo comincia a russare, loro subito lo scuotono. “Ha gli incubi mentre dorme, e allora comincia a urlare“, spiega Brandon, con un gran sorriso. “Sogna sempre di essere messo in una bara“.

Nel primo pomeriggio, i Killers sono di nuovo sul palco. Nel club di Nagoya ancora vuoto sono al lavoro concentrati su Why Do I keep Counting?. Benché la canzone suoni brillante in Sam’s Town, la band è lontana dal riuscire a suonarla bene dal vivo. Soprattutto l’armonia vocale che dovrebbe sottolineare la pomposa frase Am i strong enough, will I live to have some children? causa problemi. “Children, la mia voce deve andare verso l’alto alla fine“, ripete come un mantra il cantante, ma il gruppo continua ad avere problemi con il pezzo.

Quando non riescono a suonare la canzone solo per colpa di quella frase, Brandon interrompe, annoiato. Per un po’ sta semplicemente li, strofinandosi il mento; poi infila le mani nelle tasche della felpa e comincia a camminare su e giù, con la testa china. Il momento è opprimente, e Dave, Mark, Ronnie, e il loro tastierista, Ted Sablay, che suona le sue parti semi-nascosto dietro una torre della strumentazione, lo lasciano fare senza alcuna reazione. Passano molti minuti prima che Brandon torni al suo microfono. Ordina le 8 misure che devono essere provate in un giro infinito. La sicurezza necessaria per cantare non può darla ai suoi compagni intimiditi. Ma che altra scelta ha lui, se non lavorare con incondizionata disciplina, quando da Mormone devoto in ogni caso chiede sempre il massimo a se stesso? La strada è accidentata, ma li condurrà al loro obiettivo: dopo 15 minuti di continue ripetizioni, la parte vocale funziona senza difetti. Quando anche la prova successiva va bene, Brandon si permette un sorriso. É il suo primo sorriso dopo più di un’ora.

Ce la caviamo meglio oggi rispetto a quando abbiamo registrato Hot Fuss“, dice Brandon mentre permette a se e al gruppo una pausa. “Solo occasionalmente diventa un po’ difficile…Quando ho un’idea me ne convinco, gli altri a volte non ne sono tanto contenti. Ma andiamo d’accordo l’uno con l’altro“. Così forse i Killers non sono amici del cuore – ma come una compagnia di convenienza, lavorano molto bene. E quando tardi nel pomeriggio Brandon comincia a suonare Burning up, la canzone nuova non ancora finita, improvvisamente tutti agiscono in sintonia: Dave e Mark con sensibilità adottano dei cambiamenti sugli accordi e danno al loro cantante lo spazio necessario per sviluppare la linea vocale. Ronnie all’inizio sta ad ascoltare, ma poi da un impulso importante. “Suona un po’ più veloce“, dice a Brandon, appoggia il suo hamburger e comincia a suonare un ritmo molto da musica soca sorprendentemente aggressivo. L’esperimento riesce: la canzone si trasforma da ballata di pianoforte in stile Springsteen, in una vera, particolare, ipnotica canzone dei Killers con il potenziale per diventare un classico.

Dopo questa sensazione di successo, l’atmosfera dietro le quinte è comparativamente buona. “Questa potrebbe essere una canzone importante del terzo album“, dice Brandon soddisfatto prima di affrontare la domanda del team di una radio giapponese. Anche Dave sembra rilassato: per una fotografa che gli scatta dei ritratti per una rivista giapponese posa in un modo davvero stupido, alla Luigi XIV, così solo qualcuno nella stanza riesce a rimanere serio. Durante il piccolo rituale prima dello show, Brandon guarda negli occhi ciascuno dei suoi compagni – diversamente da ieri. “Ieri abbiamo avuto tutti qualche problema“, dice ai suoi colleghi che hanno in media 5 anni più di lui. “Ma non lasciamo che questo ci confonda, okay? Oggi tutto andrà meglio!“.

Ha ragione: l’ingresso è inebriante. Davanti a circa 5000 persone che si dilettano, felici e grate di vedere i Killers suonare nella loro città, è facile per il gruppo cercare di dare il meglio. In apparenza ulteriormente incoraggiati da un ospite importante – Lily Allen sembra annoiata mentre si appoggia contro la barriera del mixer, ma fin dall’inizio canta con loro ogni parola di ogni canzone – Dave presenta uno “spettacolo da dio della chitarra” sorprendentemente versatile: suona un assolo mentre fa smorfie di dolore, suona riff potenti mentre balza in avanti, cambia la sua chitarra dopo ogni canzone, getta per aria i suoi capelli e ogni tanto lascia penzolare la chitarra appoggiata all’anca per battere le mani a ritmo sopra la testa. Anche Brandon sembra eccitato dall’energia euforica del pubblico: come elettrizzato, cammina da un lato all’altro del palco mentre canta; quando suonano Bling, corre in una posizione come David Byrne, e quando l’intero pubblico canta la misteriosa strofa I’ve got soul, but I’m not a soldier alla fine, prova a montare sopra ad un amplificatore della chitarra di Dave in modo piuttosto audace tanto che un roadie deve farsi avanti e fermarlo.

All’hotel i Killers sono già attesi dai loro fan. Le ragazze circondano i membri del gruppo, ma subito si mettono in fila educatamente dopo che il primo pezzo di carta viene firmato. “Impazzisco qui dopo pochi giorni“, dice Brandon dopo, quando l’adrenalina è svanita. “Tutto è completamente diverso – è difficile per me. Per un po’ è bello, come un viaggio su Marte. Molte persone hanno la stessa sensazione quando vengono a Las Vegas, ma per noi, questo è del tutto estremo“.

Non sembra infelice del fatto che a breve andranno in Australia. Prima deve superare un altro concerto a Osaka. Lui probabilmente sa che “non è mai bello prendersi sul serio” – ma il pensiero che la sua musica sia amata in Giappone per le ragioni sbagliate lo infastidisce nonostante tutto. Quando scriveva per Sam’s Town si occupava di grandi argomenti: l’obsolescenza, lo struggersi per “i bei giorni del passato” e, anche e specialmente, la sua stessa mortalità. “Semplicemente non posso immaginare che queste persone lo capiscano, se non in modo rudimentale“, dice serio. Quando pensa a quello che rimane di Sam’s Town quando i significati vengono dimenticati, ride un’altra volta in quel suo ridacchiante, particolare modo. “Solo i ritornelli restano“, dice e scuote la testa. “Quando tutto il resto viene dimenticato, almeno le melodie rimangono“.