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NME [29-11-2008]

Alienazione, noia e il nightclub Jagz ad Ascot. I Killers sono tornati per l’album numero tre e si stanno ponendo le grandi domande essenziali. Ma hanno le risposte a queste domande?

Tick-tock. A Brandon Flowers è stato dato un grande orologio da tasca d’argento e lo sta tenendo per la catena mentre oscilla, studiando il suo arco nell’aria con i suoi grandi occhi da cerbiatto. Tick-tock. Schierato accanto alla sua band nel freddo artico di uno studio fotografico, le enormi spalline piumate di Brandon lo rendono il Killers più isolato dal freddo, permettendogli nel contempo di tenere l’aria di un imperatore chipmunk. Tick-tock. Sembra assorto, rapito, ipnotizzato. O forse è solo nervoso. O forse sta pensando al fine ultimo della vita. Sapete. Il grande dilemma. Siamo umani? O siamo ballerini?
E così hanno svaligiato di nuovo lo scatolone dei vestiti. Ma mentre l’ultimo paio di volte si capiva benissimo dove volevano arrivare (Hot Fuss: ragazzeacuipiaccionoiragazzichevoglionoessereragazze, Sam’s Town: baffuta e arsa autenticità alla Springsteen), l’Incarnazione III è un po’ un ibrido per il Team Middle America. È tornato il glam, si, ma è meno da ragazzini, meno eyeliner da uomo comprato da Superdrug, più pavone, più oggetto meraviglioso, più quasi-Repubblicano-caduto-sulla-Terra.
Brandon ha parlato di come volesse “diventare una tigre neon“, e si capisce a pezzi. Se Hot Fuss parlava delle luci al fluoro della strip di Las Vegas e Sam’s Town della terra arsa del Nevada, allora Day & Age vede i Killers nei club della loro città natale, mentre guardano i cantanti lounge con il cocktail in mano. Il suo emblema è la palma al neon che hanno incorporato negli addobbi del palco. I suoi talismani sono persone come Bryan Ferry, Robert Palmer; crooner dagli occhi scintillanti vestiti color cobalto la cui idea di bere responsabilmente implica innanzitutto togliere l’ombrellino decorativo dal cocktail. L’arma scelta, ne consegue, è il sassofono.
Brandon sembra molto più giovane visto da vicino. Rasarsi i baffi è servito, ovviamente. E l’assenza di 50.000 fan che applaudono tendono a diminuire la vistosità tipica di molte pop star. Ma è anche dovuto alla sua andatura; il modo in cui le sue spalle tendono un po’ in avanti mentre sale le scale, la sua improvvisa irregolare magrezza (ha perso peso, vero?), il modo quasi da ragazzino con cui mette le mani tra le cosce mentre si siede. Qui, tra gli ascensori con pannelli di legno e corridoi tortuosi e pieni di angoli del Brown’s Hotel (un tempo il preferito di Churchill a Londra), Mr Flowers è ora appollaiato sul bordo del divano della meeting room, per il primo giro della rigidissima giornata di interviste.
Avendo l’opportunità per questo faccia a faccia, c’è solo una domanda che pende dalle nostre labbra. Non dilunghiamoci oltre; quello che il mondo ha bisogno, chiede, deve sapere, è solo una cosa. Siamo umani? O siamo ballerini?
Siamo tutti diversi. Alcune persone appartengono all’uno, altre all’altro“. Ottimo. “Alcune stanno nel mezzo“. Uh huh. “Dipende“. Ok. Allora…ti hanno mai fatto prima questa domanda? Quando hai scritto quel verso ti rendevi conto che le persone ne avrebbero parlato molto a riguardo, vero?
Forse…Non so…Non mi rendevo conto che sarebbe diventata una cosa così importante…Ma è un bene, comunque. Credo che sia meglio di avere persone che non ne vogliono parlare“.
La frase deriva da una citazione di Hunter S. Thompson sul fatto che l’America stava crescendo una generazione di ballerini?
Credo fosse frustrato“. Anche se siamo seduti fianco-a-fianco, spesso Brandon guarda il vuoto davanti a sé, pensieroso, come se stesse parlando con un fantasma in un’intervista spiritica. “E per me è un commento così significativo, l’ho preso e l’ho evoluto“.
Diversamente dalle tipiche canzoncine pop, dal punto di vista dei testi sembrano esserci piccole dosi di noia nel loro terzo album – si aggiungono al dualismo post-cartesiano di Human la canzone d’apertura Losing Touch (“You go run and tell your friends I’m losing touch/Fill their heads with rumours of impending doom“), e “You know I might have just flown too far from the floor this time” da Spaceman. Sembrano come riflessioni sull’alienazione, la dissociazione – l’insostenibile leggerezza dell’essere. Vero?
C’è sicuramente un filo conduttore. Non voglio che sembri che mi stia lamentando troppo, ma non sono la prima persona a pensare che stiamo perdendo qualcosa con questi fottuti telefoni e computer e cose simili. Avremo tutti un cancro all’orecchio o roba del genere…“. Guarda su. “La connessione umana, che può essere una cosa semplice come – come questo – la stiamo perdendo. Penso a mio figlio e come voglio insegnargli le cose che mio padre ha insegnato a me. Potrebbe essere qualcosa di semplice come salutare le persone. Oggigiorno spaventi le persone se dici loro ‘ciao’. Quindi lo faccio il più possibile perché voglio veramente non perdere questa abitudine…“. Fa una pausa. “Voglio dire, ‘Ehilà!“. E scoppia in una piccola risata.
Generalmente ti senti a disagio per i tuoi testi?
Molto a disagio. L’ho detto prima. Mi sento inadeguato. Ma allo stesso tempo, credo di stare migliorando. Dato che sono un fan dei grandi compositori è una cosa difficile. Essere americano, non ho il vocabolario di un Morrissey…“. Si corregge “Non è solo per il fatto di essere americano. I libri c’erano…solo che non li leggevo“.
Stavi leggendo niente mentre scrivevi questo album e che ha avuto un impatto su di esso?
Sulla Strada (di Jack Kerouac). Non testi nello specifico, ma credo che leggere generalmente mi renda più aperto. L’America è così grande e…il modo in cui ha dipinto San Francisco e il Messico, è così romantico“.
Kerouac ha scritto il libro come se fosse un lungo pendio su carta, senza mai tornare indietro a correggere niente perché credeva che il suo primo impulso fosse sempre il migliore. Anche tu lavori così?
Dal punto di vista della musica sì. Direi che quando si tratta della musica, molte volte la reazione iniziale è il migliore. Ma con i testi è più difficile“.
Com’è essere Brandon Flowers in questo momento? Dopo 10 milioni di album venduti, ti senti di avercela fatta?
Non credo di averlo ancora capito“.
Cosa?” la sua agente stampa chiede mentre rientra nella stanza. Il tempo sta finendo.
Quanto siamo grandi“. Sorride.
Salite le scale dell’hotel, dietro l’angolo, in una stanza con un bagno intergalattico: Mr Keuning, l’altro membro fondatore, capelli arruffati, viso scoperto, apparentemente messo assieme con i pezzi avanzati di Brian May. Fatto interessante su Dave: parla fluentemente il Klingon. Sul ginocchio posa una piccola chitarra pieghevole da viaggio che ogni tanto pizzica con aria assente mentre rimugina su qualcosa.
Credo che fosse il secondo giorno che io e Brandon ci siamo trovati per suonare qualcosa assieme. Siamo usciti dopo e ho detto, ‘Allora vuoi diventare grande?’ e lui disse ‘Oh certo’, e io dissi ‘Bene’. E non ne abbiamo più parlato. Alcune persone non vogliono essere grandi. Ma io volevo solo fare della musica. Lui lo stesso…“.
Qualcuno bussa. Arriva il fattorino che porta la cioccolata calda a Keuning. “Posala qui. Sono un po’ di fretta“, dice indicando il tavolino di vetro. Ad NME: “Scusami. Puoi avere due minuti extra per questo“.
Com’è davvero Brandon?
La cosa che penso di Brandon – e lui sa che lo penso – è che alcuni giorni ha un ego troppo forte. Ma poi altri giorni cerca solo di essere gentile“.
Chi è il Killer più saggio?
Non io“.
Chi il più eloquente?
Mi sforzo durante le interviste perché non mi piace prendere in giro le persone. Ronnie va meglio perché è in grado di dire quello di qui la conversazione ha bisogno. A me piace dire le cose vere“.
Che ne pensi dei testi di Brandon in questo disco?
Brandon prende i testi molto seriamente perché sa che tutti analizzeranno quello che dice. Li prende molto più seriamente di quello che farei io se fossi al suo posto. Si sforza di ripassare tutto per togliere qualsiasi nodo come faresti con i capelli grazie ad un pettine a denti sottili. E io non posso dire niente sul risultato. Credo che i testi in questo album siano molto belli“.
Dunque siamo umani? O siamo ballerini?
Ballerini“.
Il dilemma è stato finalmente risolto, è tempo di comunicare con i bassista Mark Stoermer. Fatto interessante su Mark: è cintura nera in taekwondo. Con quasi 2 metri di altezza è il Killer più alto con una barbetta bionda e occhi vitrei che ti scrutano lungo la sua lunga mascella come un cavallo particolarmente curioso, mentre si gira su una sedia a dondolo di pelle bianca con il sax in Baker Street di Gerry Rafferty che zampilla dallo stereo lì vicino.
Ah! È la melodia principale dell’album? No?
No. Mi piace pensare di più ai Roxy Music, David Bowie, anche agli Stones quando inseguivano suoni importanti“.
Stoermer non racconta per niente barzellette. È un logico – studente in filosofia che ha mollato per inseguire la musica – un uomo che può inseguire un argomento fino alle sue fondamenta con un’accuratezza da investigatore, ma si agita un po’ quando qualcosa di scosta dal bianco o nero. È bravo con i cliché.
Finché facciamo album e facciamo il meglio che possiamo credo che il nostro pubblico ci capirà“.
A volte li preannuncia riconoscendoli come tali.
È un cliché, ma c’è stata un po’ di pressione sul secondo album…“.
Con chi va più d’accordo nella band?
Hmmm…Non sono bravo in queste cose. Siamo quattro individui diversi. Forse più delle altre band. Dave e Brandon si sono incontrati a causa della band. Noi li abbiamo conosciuti perché suonavamo in giro per la città. Abbiamo formato la band ma ci siamo conosciuti meglio con il tempo, ma non siamo mai stati un qualcosa che andava bene naturalmente dal punto di vista delle personalità“.
Ci sono stati momenti di litigi in studio mentre lavoravate a questo album?
No davvero. Ci occupavamo soltanto del nostro lavoro. Dodici ore al giorno, sei giorni alla settimana. Forse è stato l’album meno stressante che abbiamo fatto. Credo che adesso sappiamo come fare le cose“.
Chi è il Killer più saggio?
Non io. È una gara alla pari. Se si tratta di pensare a cose da dire sul momento, probabilmente è Ronnie“.
Chi è quello che osa di più?
Sicuramente Dave. Perché? Non so. Se lo sfidi a fare qualcosa la farà“.
Il più intelligente?
È una gara alla pari…che vuoi che ti dica?
Sicuramente il più equivoco, più umano, più ballerino e nominato dalla band come il Killer più saggio è Mr Ronnie Vannucci Jr: batteria, fascino. Con lui è stato facile. Dopo cinque minuti seduti al bar del Brown stava già conducendo una psicoanalisi di sé stesso tenendo un whisky in mano, lamentandosi, nel suo monologo, di come le sue precedenti ragazze gli facessero notare la sua inabilità a passare abbastanza tempo con loro. “Non sono un tipo appiccicoso“, dice.
Mi piacevano tutte queste ragazze, ma volevo comunque passare del tempo con i miei amici. Se fosse stata solo una a dirmelo avrei pensato ‘Vabbè, chissenefrega’. Ma succedeva tutte le volte con ragazze diverse, al punto che ho iniziato a pensare che avessi qualche problema…“.
Stasera Ronnie è all’affannosa ricerca del suo alter ego. Sta andando alla festa dei 50 anni di un suo amico che ha arruolato una tribute band dei Killers chiamata The Fillers. Ronnie aveva detto che non sarebbe potuto andare: promozione, prove, bla bla. Ma – ha ha ha – ha avuto un po’ di tempo libero e sta per dirigersi al famoso nightclub Jagz di Ascot. Sorpresa!
Sul sedile posteriore della macchina, sorseggiando champagne da un bicchiere di carta, Ronnie si ricorda un’altra delle sue fallimentari ambizioni. “La settimana in cui abbiamo firmato il contratto, mi telefonarono per chiedermi se volevo fare un’audizione per il Blue Men Group a Las Vegas. Cavoli, ero così deluso! Amavo quello spettacolo. L’avevo visto così tante volte che in pratica lo conoscevo a memoria“. Poi segue una lunga discussione per capire se i Blue Men sono davvero calvi.
Al Jagz, tra antipastini e una chiacchierata, i The Fillers salgono sul palco. Protestando a lungo quanto basta per sembrare modesto, Ronnie viene persuaso in modo avvincente e applaudito mentre si siede dietro la batteria per concludere All These Things That I’ve Done. Sta sorridendo maliziosamente, praticamente uccidendoli per la gioia. È un enorme raduno amoroso, cementato quando li raggiunge in camerino e posa per una serie di scatti alla band.
Ecco quanto è fiorente il mercato per chi impersona i The Killers: Mark Beaumont di NME non si è potuto permettere di prenotare i The Fillers per il suo nightclub perché volevano 1.300£. Hanno già imparato alcune delle canzoni di Day & Age studiando filmati su YouTube e stanno provando Human, anche se, almeno per ora, possono solo fare quelle con meno sassofono.
Le nuove canzoni sono belle, ma la cosa che obietto“, dice il falso Brandon a Ronnie, “è che ci fate spendere un sacco di soldi. Adesso dobbiamo trovare un sassofonista! Se inizierete a lavorare con un’orchestra saremo fregati…“.
Cosa faranno se il nuovo album dei The Killers sarà un flop? Troveranno un’altra band da impersonare?
Assolutamente no. La gente non capisce che ormai lo faremo per tutta la nostra vita. La nostra fortuna è legata alla loro“.
Ronnie e i suoi molti ammiratori posano per altre foto nel balcone fuori. “Il tuo cognome è ‘Balls’?” chiede Ronnie alla sua controparte nei The Fillers. “Cavoli, è un cognome davvero sfigato“. Promette loro che verranno aggiunti nella lista degli invitati per il concerto alla Royal Albert Hall. Il raduno amoroso raggiunge il punto culminante. Noi sfiliamo via.
Quattro giorni più tardi, la Royal Albert Hall. I muri trasudano storia. La sua forma a uovo avvolge il pubblico, un pezzo alla TARDIS pensato da un genio del design che ti fa sempre sembrare solo a un tiro di schioppo dai tuoi vicini più lontani. Rispetto a starsene dietro a 50.000 persone più alte di te in fondo a qualche concerto nei festival, qui i Killers sembrano come una vera band più che ad un esercizio sponsorizzato da qualche marca di cellulare per far si che le persone guardino tutte dalla stessa parte. Fanno tremare tutto.
Si può dire che ci sono troppo pezzi forti?” si chiede una persona dello staff di NME.
Più tardi nel backstage Zane Lowe arriva lentamente verso il cantante dei The Fillers e gli stringe la mano. “Il concerto mi è piaciuto tantissimo“, scherza, poi se ne va.
Non è l’unico“, riferisce il falso Brandon. “Prima c’era questo tipo francese; non farò il suo accento, ma eravamo al VIP bar e mi si è avvicinato e mi ha stretto la mano iniziando a raccontarmi che lavorava per Vivenne Westwood, di quanto amava Londra – di come era così ‘punk’ – e di quanto gli fosse piaciuto il nostro concerto“. Per coincidenza il falso Brandon si è presentato con una camicia nera come il vero Brandon. “Il fatto è che a causa del suo accento mi ci sono voluti un po’ di minuti per capire che stava parlando con la persona sbagliata. Ma continuava e non si fermava. È ancora qui in giro. Adesso appena lo vedo devo quasi nascondermi…“.
Non è mai facile essere Brandon Flowers. Anche se non lo sei. Ed è sempre difficile conoscere la risposta quando la domanda è del tipo: “Siamo umani? O siamo ballerini?