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Clash [12-2008]

I Killers; vistosi e alla moda, vero? Prima c’erano il mascara e le giacche con il risvolto con i brillanti. Poi abbiamo avuto uomini impolverati e con i baffi. Quale sottolineature sartoriali avranno messo a fuoco per accompagnare il loro terzo album Day & Age? “Volevo diventare una tigre al neon..”. Giusto – una dannata tigre al neon. Fottuti Americani.

Consapevoli della propria immagine e sfacciatamente ambiziosi, i Killers sono saltati all’occhio come dei damerini sin dal loro album di debutto del 2004, Hot Fuss, che ci aveva fatto presente che il pop celebrale e manicurato poteva sopravvivere, anzi, fiorire sotto l’implacabile sole del Nevada. Capitanato dall’affascinante e spregevole Brandon Flowers, i Killers sono arrivati in un momento in cui la musica per chitarra era all’apice di una degradante parodia – senza dubbio cercando di riguadagnare lo spirito del tempo dal fragore degli zoticoni che avevano scambiato la notorietà da giornaletto scandalistico e l’abilità nel riconoscere una modella per un qualcosa di vagamente talentuoso. Laddove gli altri stavano per così dire musicando i giorni della graduale decadenza di una sciagurata e gretta Albione, i Killers si sono fatti avanti con cori sorridenti e sentimenti delicati che suonavano bene sia nell’ambito di un isolamento individuale che in discoteca. La peggior critica che qualcuno potesse sollevare contro di loro era che la loro musica suonava un po’ come gli Shed Seven, ma in bene.

Accanto al principale autore e frontman Flowers, Dave Keuning (chitarra), Mark Stoermer (basso) e Ronnie Vannucci (batteria) sembrano come una ipotesi improbabile per una delle maggiori band sulla terra. Ciò nonostante, i Killers hanno assicurato una coesione attraverso uno stretto e aperto amore per la musica popolare Britannica che si è affermata negli anni ’80. New Order, The Smiths, ELO. Tutti riferimenti familiari tirati in ballo regolarmente come sacrosanti, ma quando venivano rifranti attraverso l’affinato prisma di Las Vegas dei Killers, lo scopiazzamento ha completamento preso una tonalità più esotica e lasciva. La Gran Bretagna della Tacther sottoposta ad un trattamento in technicolor.

Cosa hanno fatto dopo i Killers? Si sono ribellati, ovviamente. Il loro ritorno del 2006 ha visto il fulcro dell’aspetto giovanile da ragazzini oscurato dall’ambientazione alla Wyatt Earp e un disco, Sam’s Town, che cercava di asserire le loro radici patriottiche attraverso una tematica Americana. In quel momento sembrava sconvolgente, col senno di poi era invece catartico. Con il ritorno, grazie al nuovo album Day & Age, alle loro basi di synth-pop e con i critici che sostituiscono i riferimenti a Springsteen con i Pet Shop Boys, sembrerebbe che i Killers siano venuti a patti con loro stessi ed abbiano canalizzato il loro lavoro più completo succintamente attraverso questa rivelazione. Trainante e inondato di ritornelli orecchiabili, Day & Age è l’antitesi dell’usa e getta – abbraccia il pop pur allontanandosene dalla parte peggiore. E poi c’è la piccola questione di una tigre al neon.

Con un taglio di capelli nuovo di zecca e le scarpe lustrate, Clash ha scovato Brandon Flowers e Dave Keuning nella loro nativa Las Vegas per chiacchierare di tutto ciò che riguarda i Killers, inclusa una mancanza di angoscia esistenziale, l’ambivalenza dai loro colleghi Americani e naturalmente quella cavolo di tigre. How did it end up like this ? It was only a kiss…

Day & Age è stato completato ora e sta solo aspettando di essere pubblicato. Come trovate questo periodo di attesa?
Dave: Sono veramente eccitato – Voglio solo che venga pubblicato. È sempre un periodo difficile il mese e mezzo che trascorre tra quando noi abbiamo completato l’album e quando sarà ascoltato da tutti gli altri.
Brandon: È assolutamente terrificante. Per quanto tu possa dire che fai musica per te stesso, non è vero. Forse era così all’inizio, ma non posso più dire che sia così. C’è molta gente là fuori che vogliamo raggiungere, molta gente a cui voglio far cambiare idea. C’è della gente che voglio solo tenere, quelli che credono in noi e non voglio deluderli. La musica è una cosa talmente grande ed importante della tua vita, sai? Devi prenderla seriamente perché accompagna la vita delle persone. Avendo detto ciò, siamo stati un po’ meno seriosi in questo album. Meno preziosi. Volevamo essere un po’ più spensierati.

È dovuto a cambiamenti personali? Dall’ultimo disco sei diventato padre, sicuramente questo fatto deve aver avuto un impatto.
Brandon: Si, credo che la vita sia troppo breve forse, per ossessionarsi così tanto. Sicuramente mi ha reso molto meno egoista. Siamo sempre stati una band che mira in alto. Non abbiamo mai avuto paura di ammetterlo ed abbiamo ancora quell’ambizione, ma la vita è troppo breve per passare il tempo a preoccuparci se diventeremo i prossimi Beatles oppure no. Devi solo fare quello che fai. Siamo molto onorati e fortunati di trovarci in questa posizione e penso che il minimo che possiamo fare è divertirci.

Hai toccato il tasto delle vostre ambizioni, che è qualcosa di cui molti artisti nell’industria musicale evitano di parlare. Vi da fastidio che la gente veda questa cosa con disapprovazione nei confronti dei Killers? Come se in qualche modo essere ambiziosi fosse sbagliato.
Brandon: Si, ci da fastidio, ma credo che stiano cambiando opinione in qualche modo. Dalla vostra parte del mondo è molto più accettato che qui in America, e intendo di molto! Io proprio non capisco. Sembra che sia cambiato tanto dagli inizi degli anni ’90, non ti è consentito avere ambizioni. Credo che la gente non capisca che sei una grande band ed hai un cervello. Forse non puoi (ride). Ma crediamo di far parte di qualcosa di molto simile a band ed artisti che ci sono riusciti. C’è stato veramente un bel gruppo di gente che ha rotto questa barriera, c’erano i REM, gli U2, i Talking Heads e per quanto la gente volesse credere che fossero Indie, hanno tutti scritto delle canzoni mostruose, musica da stadio con cervello.

E questo si collega anche all’idea che le band serie non debbano fare musica pop, qualcosa che indubbiamente invece i Killers fanno. Siete contenti di essere considerati pop?
Brandon: certo, ma è qualcosa che devi essere coraggioso per fare. Non per vantarci, ma non credo che la gente si renda conto di quanto siamo coraggiosi nel provare a fare della musica pop. Indipendentemente da chi tu sia, la musica pop è sempre lì. Crescendo non avevo idea di cosa fosse l’Indie. Leggevo le interviste di Morrisey e quando parlava di sé diceva sempre di essere pop, perciò per me il pop non è mai stato una cosa brutta, è sempre stato veramente figo (ride). Non ho mai capito perché in Inghilterra fosse visto come un qualcosa di così negativo, per me aveva un senso inseguire il pop.

Qualcosa del genere ti suona in testa quando incidi un disco? Provi ad assicurarti che farai della musica che piacerà ai vostri fans o è più una cosa di confidare nel fatto che vi seguiranno quando ascolteranno il nuovo disco?
Brandon: Penso e spero che molti dei nostri fans si aspettino un cambiamento. Per noi è molto eccitante il fatto di abbracciare qualcosa di nuovo. Sento che alla fine saremo sempre noi stessi, come dire, io che canto e Ronnie che suona la batteria.. sono sempre i Killers. Ma penso che sia rude aspettarsi che non cambiamo affatto. Sarebbe così noioso non provarci ed evolverci. Voglio dire, c’è così tanta musica in giro e così tanta roba che viene fatta che chiede di influenzarci. Non possiamo fare altro che seguire questa strada.
Dave: è un po’ difficile valutare nella band come le cose suonano diversamente all’interno. Con Sam’s Town sapevo che era un allontanamento da Hot Fuss ma pensavo fosse ancora un disco dei Killers. Per me erano i Killers che facevano un disco che suonava leggermente diverso. Penso che potresti paragonarci ai Queen, loro facevano un sacco di stili diversi, ma alla fine erano sempre la stessa band.

Perciò come si differenzia la registrazione di Day & Age dai precedenti due dischi? Questa volta eravate in uno studio vostro invece dei Palm Studios di Las Vegas.
Brandon: (ride) Il tempo trascorso al Palms non è stato proprio ideale. Tutto quello che sapevamo quando registravamo Sam’s Town era che volevamo essere a casa e il posto migliore e più nuovo era il Palms. Siamo stati i primi a registrare lì e proprio per il fatto che era tutto nuovo sembrava tutto così eccitante. Ma era qualcosa di veramente asettico, alla fine non credo abbia rovinato qualcosa e la musica è venuta bene. Beh, qualcuno avrebbe qualcosa da ridire (ride). Avevamo le conigliette di Playboy che entravano a dare un’occhiata mentre registravamo.. ma ora abbiamo un posto tutto nostro e credo proprio che si senta nell’album. Siamo ancora a casa e ancora a soli quattro minuti dal Palms, possiamo ancora vederlo! Perciò è molto vicino geograficamente a dove abbiamo fatto Sam’s Town (ride) ma ad un mondo di distanza. Con il tuo spazio proprio non devi veramente preoccuparti di niente, puoi solo andare avanti. Perciò si, è veramente bello.
Dave: Ci è voluto un po’ più di tempo per registrare Sam’s Town, circa cinque mesi al Palms più un ulteriore mese in Inghilterra. Non sono esattamente sicuro del perché, penso sia stato un ritmo naturalmente più lento ed eravamo veramente terrorizzati da tutta la storia del “secondo album” che siamo finiti con prenderci del tempo. Il Palms era un ambiente anche strano.

Ricordo che al primo ascolto di Mr. Brightside ho subito pensato che foste Inglesi. L’idea che i Killers venissero da Las Vegas sembrava ridicola. È stata una mossa calcolata di asserire il vostro background Americano con Sam’s Town?
Brandon: È stato molto, molto calcolato. Penso volessi provare a me stesso che fossi effettivamente Americano (ride). Stavamo attraversando un periodo davvero strano ed io amo davvero questo paese e non mi piace la luce in cui viene messo in mostra ora, quindi penso fosse una reazione a tutta la negatività rivolta all’America. La musica che ascoltavamo ha anche influenzato, ma c’era ancora molto di Inglese (ride).
Dave: Quando stavamo registrando Hot Fuss non avevamo tutti quei fattori esterni che dicevano “Hey, sapete che suonate come questo e questo?”, era solo quello che veniva fuori da noi. Poi tutti hanno dovuto sottolineare che suonavamo come una band Inglese e credo che questo abbia avuto un’influenza negativa. Non è che come band ne parlassimo e dicessimo “Hey, suoniamo più Americani”. A tutta quella gente a cui non è piaciuto il secondo album, è colpa loro perché ci hanno fatto notare pesantemente quanto sembrassimo Inglesi!

Vi ha sorpresi come sia stato accolto male in America?
Brandon: (ride) Si, sembra non avere alcun senso, ma per una qualsiasi ragione, le braccia sono aperte per noi in Gran Bretagna. È una sensazione così stupenda e non c’è modo di descriverla. Ovviamente vogliamo che la nostra gente capisca, ma è così bello essere accolti come siamo accolti in Inghilterra. Voglio dire, la musica anglosassone è quella che ci ha plasmati quindi ha un senso per noi avere una connessione laggiù, ma è ironico che ci siamo lanciati con questo album Americano che però qui non ha preso il volo. La stampa americana l’ha maledetto e ci ha esposti a del vero cinismo nei nostri confronti.

Come vi sentite rispetto all’America che sta andando verso le elezioni Presidenziali?
Dave: L’America ha sicuramente bisogno di un cambiamento, a mio parere. Non sta andando per niente bene ora e quando avremo un nuovo leader, si spera che sapremo verso quale direzione ci indirizzeremo. Siamo tutti ottimisti che chiunque venga eletto possa rimettere le cose a posto. Io voterò per Obama ma non voglio far arrabbiare i Repubblicani, preferivo di più McCain prima che coinvolgesse Sarah Palin; lei mi preoccupa parecchio. Non è molto qualificata e lui forse è troppo vecchio, ma mi piace.

Torniamo alla musica. Quale sono state le vostre influenze nel periodo della crescita? Quale album attendevate con impazienza?
Brandon: Onestamente, quando ho iniziato ad ascoltare veramente la musica, la maggior parte della roba a cui ero interessato era già passata di moda. Diciamo che quando avevo tredici anni, non è che mi piacesse tanto la musica che c’era allora, non riesco a pensare a nessun album che attendessi venisse pubblicato. Era già stato pubblicato, credo che le eccezioni fossero Morrisey ed i Cure che potevano fare un disco ogni quattro anni o giù di lì, qualcosa del genere. Ricordo di aver comprato il disco di Morrissey “Southpaw Grammar” appena uscito e mi ha veramente mandato fuori di testa (ride). Avevamo dovuto aspettare veramente tanto per ascoltare quell’album, perciò quando è arrivato…wow ! Dopo quello è stata una lunga attesa sino a “Maladjusted”, avevo quindici anni quando è uscito e sono andato a vederlo in concerto l’anno dopo, la notte di Halloween, quando avevo sedici anni. Posso ancora dire che sia stata una delle migliori notti della mia vita. Le canzoni su quell’album sono bellissime, e questo era un po’ tutto quello che attendevo con ansia. Proprio non mi piaceva quello che c’era in giro in quel periodo, il rap-metal e la musica più dura. Non avevo l’angoscia esistenziale, e credo che ancora non la abbia. A volte credo che ci sia qualcosa di sbagliato in me, non devo essere vero. Lotto per identificare la mia angoscia, suppongo non possa farci proprio nulla.

È stato importante per voi essere accettati nel Regno Unito?
Dave: Ancora adesso è importante per noi e saremmo davvero delusi se il Regno Unito non ci amasse. È probabilmente la nostra nazione preferita e stiamo andando bene laggiù. Sembra che l’Inghilterra sia più in contatto con la musica a livello generale e suppongo che questo renda tutto ciò più soddisfacente. È al contempo una cosa umile e bella andare in posti dove non siamo così ben accolti e suonare in luoghi più piccoli. Penso che uno dei posti dove vorremmo essere più grandi sia il Giappone dove riusciamo solo a vendere delle sedi con capacità tra 500 e 2000 posti; ci piace il Giappone ma è una nazione imprevedibile.
Brandon: Si, pensavo molto all’Inghilterra. Non la capivo e sto ancora cercando di capirla ma ci sto arrivando. Trascorro circa un mese ogni anni lì, quindi stiamo imparando a conoscervi ed è bello. Ci sentiamo tutti molto a nostro agio ed è bellissima l’accoglienza che riceviamo. Sarebbe stata una enorme delusione non essere amati laggiù, l’opinione Inglese è estremamente importante per noi. Come nazione avete la migliore musica..di ovunque (ride).

Direi che la musica è una delle poche cosa in cui la Gran Bretagna possa ancora competere a livello mondiale.
Brandon: (ride) È una bella cosa però! Diciamo che è più importante del buon cibo..non che stia dicendo che non abbiate del buon cibo, è uno stereotipo ridicolo, puoi mangiare bene e senza problemi in UK. Davvero!

Il nuovo disco è stato prodotto dalla nuova musa di Madonna, Stuart Price (Les Rhythmes Digitales/Zoot Woman). Come è nata la collaborazione? Eravate a conoscenza di lui come artista?
Brandon: Aveva fatto dei remix e ci era piaciuto quello che avevamo sentito. Strano a dirsi ma conoscevamo Zoot Woman da quando stavamo lavorando a Hot Fuss. Il nostro manager ci ha mostrato Zoot Woman e ci ha portato questo tipo, Stuart Price, ma allora per noi non aveva avuto senso lavorare con lui. Pensavo che le canzoni fossero buone e riuscivo a ricordare un paio di ritornelli, ma non credevo dovesse essere qualcosa da portare avanti. Il suo nome però era sempre nell’aria, poi ha remixato Mr. Brightside come Thin White Duke ed ho visto delle sue foto con Les Rhythmes Digitales..è come se questo seme continuasse a crescere e crescere. Alla fine ci siamo incontrati e siamo andati molto d’accordo. È veramente un bravo ragazzo, mi piace davvero tanto.
Dave: Abbiamo cenato insieme e ci siamo subito trovati in sintonia. Per il fatto di avere la stessa età, gli piacevano le stesse band che piacciono a noi, così dopo cena siamo andati a casa sua ed è in quel momento che è nata Human (il primo singolo di Day & Age).

Avete in progetto di lavorare insieme in futuro?
Brandon: Non so, abbiamo parlato di fare un album di cover prossimamente..

Qualche canzone che andrà a finire sul disco di cover?
Brandon: (ride) Non so ancora, abbiamo discusso di fare questa cosa mentre siamo in tour. Stuart sembra il tipo giusto per realizzarlo, ma non sappiamo. Niente è ancora sicuro, sappiamo solo che amiamo lavorare con lui.

C’è tanto pop elettronico su Day & Age. È stata una decisione meditata per allontanarvi dalle influenze dell’America polverosa di Sam’s Town?
Brandon: questa volta è stato tutto incentrato sulle canzoni, ci siamo concentrati su questo, ci siamo preoccupati meno dell’ego delle persone. Non c’è stata alcuna delle solite discussioni del tipo questa parte dovrebbe sentirsi di più solo per il fatto che suoni quel particolare strumento, o che le mie parti vocali debbano ottenere tutte le attenzioni, abbiamo solo fatto il meglio per le canzoni. Sai, fare questo disco è stata una ventata di freschezza, penso che tutto ciò lo abbia reso diverso, anzi, credo sia proprio diverso.

I Can’t Stay ha una grossa influenza “Tropicalia”; volevate inglobare nuovi suoni nel lavoro dei Killers?
Brandon: direi che non possiamo fare a meno di includere roba che ascoltiamo, e questo è parte della musica con la quale siamo cresciuti. Come stavo dicendo prima, sarebbe veramente un peccato amare questi generi e poi trascurarli. Comunque eravamo nervosi per quella canzone per il fatto che è così diversa, ma credo ci siamo riusciti. Ci siamo riusciti vero? In ogni caso la amiamo.

Devo ammettere di si. L’altra canzone di spicco per me è stata la canzone di chiusura Good Night, Travel Well. È davvero una canzone epica e una volta che l’hai ascoltata, tutte le altre canzoni dell’album, col senno di poi assumono un’altra forma. Quando registrate una canzone del genere, vi rendete conto dell’impatto che avrà?
Brandon: Abbiamo avuto canzoni del genere prima, non so come vorresti chiamarle, credo parlino della disintegrazione e di grandi cose oscure, ma non abbiamo mai seguito quel percorso, ci mancava il coraggio. Credo che non avremmo portato a termine anche questa se non ci fossimo resi conto alla fine che aveva un senso. È venuta fuori veramente tardi ed è difficile quando hai delle gran belle canzoni e all’improvviso ti arriva una canzone come quella. Non hai idea di cosa succederà con quella canzone, ma alla fine non puoi ignorarla. Ci siamo sempre tenuti distanti da canzoni lunghe e Good Night, Travel Well dura quasi sette minuti, ti prende assolutamente dritto al cuore, la amo.

Mi ha ricordato “This is a Low” dall’album Parklife dei Blur, qualcosa di diverso dall’album ma parte integrante dell’album.
Brandon: Si, è vero, è esattamente così. Ha un senso. Non abbiamo mai avuto il minimo dubbio sul fatto che una volta registrata diventasse la canzone finale dell’album.

Spaceman è forse la canzone più scontata di Day & Age, che sarà però una delle canzoni cantate in coro dalla folla la prossima volta che andrete a Glastonsbury. Come ci si sente ad avere quella folla oceanica che canta le tue canzoni?
Brandon: Mi piace la storia dietro il testo di Spaceman, il coro all’inizio e alla fine è stato un qualcosa di strano e casuale venuto fuori all’improvviso. Suonavamo già da un po’ la canzone dal vivo senza questi cori e andava bene così com’era, ma dopo un po’ sembrava iniziasse a perdere colpi, non era più entusiasmante. Ascolti in continuazione una canzone in studio e d’un tratto ti accorgi che non funziona più e questo fatto mi aveva veramente spaventato. Human non si è mai esaurita ma Spaceman era questa canzone che pensavamo fosse stupefacente ed improvvisamente non ne ero più sicuro. Poi ci siamo imbattuti in questo coro e l’abbiamo piazzato lì e sembra proprio divertente. È così divertente per me e Dave cantare quella parte durante l’introduzione. Non vedo l’ora che la gente la canti con noi (ride).
Dave: così è davvero bella, e hai ragione. Spaceman è una canzone su cui abbiamo puntato molto live. Per me suonare ai festival è la più grande ricompensa del far parte di una band. Specialmente in Inghilterra, quando la folla canta è la più grande sensazione e ricompensa per l’aver fatto una canzone. Quel momento in cui suoni dal vivo e la gente canta assieme a te, ti rimanda le tue canzoni, è il momento in cui la canzone ha veramente preso vita.

Hai menzionato il fatto che Spaceman è sempre andata bene dal vivo. C’è stato qualcosa che sul palco non ha reso come sperato?
Brandon: Ogni singola sera che suonavamo Bling (Confession of a King), il momento in cui si arrivava alla parte del coro mi aspettavo di guardarmi intorno e vedere scatenarsi il finimondo (ride). E ogni sera, questo non accadeva, per chissà quale ragione. Non ho idea del perché, ma non viene compresa dalla gente. Perciò terrò le dita incrociate per Spaceman (ride).
Dave: ho sempre pensato che Bling fosse uno dei singoli di Sam’s Town. Ma quanto mi sbagliavo? Dal vivo era un fiasco (ride).

Scrivete le canzoni con in mente i concerti dal vivo o preferite perfezionare le canzoni in studio e poi preoccuparvi della versione live in un secondo momento?
Brandon: Adesso non posso fare a meno di pensare alla parte live, cerco di tenere sempre in considerazione la resa live. Abbiamo avuto dei concerti del tour di Sam’s Town davvero spettacolari, sono stati così grandi che ho paura non riusciremo a superarli. Quindi devi tenere tutto questo in considerazione se vuoi continuare ad andare verso la direzione giusta e andare avanti.

Vedendo i Killers dal vivo si nota quanto sia diversa la composizione del pubblico, questo deve riflettere la varietà dei vostri fans. Mio padre ed i suoi amici vi ascoltano mentre vanno al pub, ma piacete anche ai ragazzini, ai teen-ager ed ai “veri” fans della musica; vi intimidisce il fatto che la vostra musica sia apprezzata da una così vasta gamma?
Brandon: (ride) Sai, c’è della gente che è già turbata per Human, è gente a cui piaceva la mascolinità di When You Were Young e This River is Wild.. ma non posso farci nulla (ride). Vorrei che ci dessero di nuovo una chance, ma credo che tutto combaci con i cambiamenti che facciamo. Ci apriremo verso nuova gente, mentre altri ci sfuggiranno. La verità è che non vogliamo piacere solamente ad un certo tipo di persone. Più sono e meglio è.

Beh, a mio padre ed i suoi amici piace.
Brandon: (ride) Bene, allora ci siamo! Andrà tutto bene.

Come vi sentite quando le canzoni vengono pubblicate? Si va da una dimensione molto privata a qualcosa che tutti possono sentire. È eccitante?
Brandon: Si, è eccitante ma anche molto spaventoso. Per quanto a volte io possa sembrare presuntuoso, a me interessa veramente cosa pensa la gente e molta gente sembra non capire Human, pensano che sia una sciocchezza, in particolar modo il testo. Ma io ci ho sofferto veramente a lungo su quelle parole (ride) per renderle giuste, perciò è frustrante. Qualcuno non la comprenderà credo, è così che vanno le cose.

Possiamo aspettarci una canzone di Natale quest’anno?
Brandon: Joseph Better You Than Me è il titolo. Ne abbiamo scritto gran parte, l’abbiamo fatta con Elton John. Con questo testo sto imparando che è molto, molto più semplice scrivere delle sciocche canzoni di Natale piuttosto che delle canzoni serie di Natale (ride). Ho provato a diventare più serio, ma oddio, mi sta logorando. Dobbiamo registrarlo al più presto, non è che ci puoi fare un granché dopo Dicembre (ride).
Dave: beh, il tempo a nostra disposizione sta per scadere! Dobbiamo anche provare le nuove canzoni prima di partire per il tour, perciò dobbiamo far coincidere un po’ di cose.

Visivamente avete una forte immagine, è una parte importante del far parte di una band? Vi occupate personalmente della parte sartoriale oppure contattate degli stilisti?
Brandon: è molto importante, ci dedico molto tempo alle idee, sinceramente, pensavo ad una sorta di progetto con i colori. Continuavamo a parlare di quanto fosse colorato questo album e sembrava la strada giusta da seguire. Ad essere onesto, una volta che mi decido su un’idea non va mai a buon fine, arriva sempre qualcuno che mi ci fa ripensare. Come con i Coldplay che sono venuti fuori con la roba militare. Non volevo che sembrassimo come loro, magari saremmo finiti così se non l’avessero fatto prima loro. Credo che andremo verso un qualcosa chiamato “Sci-Fi Jungle” (Giungla-Fantascienza – ndt).

Hai deciso di abbandonare barba e baffi dell’era Sam’s Town. Ti eri stancato di sembrare Wyatt Earp?
Brandon: hanno avuto il loro corso. Ora mi guardo indietro con un po’ di trepidazione. Abbiamo questa signora chiamata Mrs. Jones (Fee Doran), è una stilista Inglese che ha disegnato degli abiti per Kylie Minogue ed i Scissor Sisters. Le ho parlato ed abbiamo discusso cosa mi sarebbe piaciuto indossare (ride), e la cosa migliore che io abbia potuto offrire è stato di voler diventare una tigre al neon. Lei ha fatto quanto in suo potere per aiutarmi a realizzare questa cosa…

Potete intervenire molto sulla parte grafica dell’album? Day & Age ha una bellissima immagine a mosaico di Paul Normansell e ritratti della band. Come è nata la vostra collaborazione?
Brandon: avevo visto un ritratto di Kate Moss che aveva fatto per GQ e me ne ero innamorato. Perciò ha fatto un ritratto di ognuno di noi e la copertina che, secondo me, ha dato un senso di coesione. Sembra giusta e ne siamo molto felici.

Come decidete la sequenza delle canzoni nel disco?
Brandon: oh mamma, abbiamo avuto troppe discussioni su come dovesse essere l’ordine delle canzoni, è ridicolo. Penso che sembri più importanti di quanto lo sia in realtà quando sei coinvolto dall’interno. Speri che tutto funzioni. Non ho idea di quanto sia importante, ormai è fatta, quindi credo che lo scopriremo presto.

Hai ascoltato molta roba ultimamente?
Brandon: la verità è che non ascolto abbastanza musica, ho sentito una band, i My White Lies che mi suono piaciuti molto, ma sto cercando di impegnarmi nell’ascoltare molta più musica. Ascolto della roba, è solo che la dimentico!

Avete possibilità di vedere le esibizioni di altri quando suonate ai festival?
Brandon: dipende da dove è il festival. Quando abbiamo suonato a tanti festival durante il tour di Sam’s Town abbiamo avuto l’opportunità di vedere delle ottime band: Bright Eyes, Arcade Fire, Rufus Wainwright. L’aver potuto essere lì e vedere suonare questa gente è stato un grande privilegio ed un vero divertimento.

C’è una esibizione che vi è rimasta impressa come speciale?
Brandon: penso che per tutti noi il T in the Park del 2007 sia stato particolarmente speciale. Ci vorrà del tempo per riuscire a superarlo.

Farete dei festival il prossimo anno?
Brandon: (ride) beh, ci piacerebbe molto, ma mi preoccupo che potremmo abusare dell’ospitalità imponendo troppo la nostra presenza…Suppongo che vedremo quello che succederà.

In conclusione, come ragazzo di Las Vegas, cosa raccomanderesti di visitare alla gente che si reca a Las Vegas?
Brandon: il gioco d’azzardo, gira tutto intorno a quello. Le due cose che suggerirei di fare è di andare fuori città, i sobborghi della città sono stupendi, con il deserto sconfinato, i laghi e le montagne. Per me il deserto è un posto molto sacro ed è una cosa molto importante del vivere qui, lo amo. Oltre a quello, i ristoranti lungo la Strip sono incredibili. Puoi mangiarci bene a vita lì.

Che mi dici delle montagne russe in cima alla torre dello Stratosphere?
Brandon: (ridendo) Ho pagato per andare lassù e quando sono arrivato in cima ho dovuto accettare il fatto che non potevo farlo, semplicemente non potevo farlo. Una volta lì dentro con i blocchi di sicurezza non si può tornare indietro.

E questo è tutto. Probabilmente vi aspettate una nostra conclusione con una qualche sciatta analogia dove facciamo una sorta di paragone tra i Killers ed un luna park, grida se vuoi andare più forte e tutta quella roba lì. Invece no! Invece vi raccomandiamo di ascoltare Day & Age e godervelo per quel che è: un grande disco pop che osa mirare in alto e ci riesce egregiamente. Il solo fatto che viviamo in un’era in cui ci si riferisce ai Killers, Kings of Leon e Coldplay in maniera frivola come materiale da stadio, dovrebbe essere preso come riprova che un’età doro di musica di chitarre popolari si è abbattuta su di noi. O, nel caso dei Killers, un’età di lamé.

La fine.