Skip to main content

The Independent [08-11-2013]

Brandon Flowers difende il proprio rock epico prima dell’uscita del Best of della sua band e rivela cos’è successo quando ha incontrato il suo eroe, Morrissey.

In un sabato pomeriggio assurdamente caldo all’interno di una struttura per prove a Las Vegas, Brandon Flowers sembra essersi dimenticato perché siamo qui. Mentre il resto dei Killers e la loro crew gironzolano nel cavernoso ambiente dietro una tenda, e io rimango pazientemente seduto vicino a lui su un divano, il frontman della band sta impazientemente sfogliando le pagine di un libro che gli ho portato.

“Deve essere molto bello, huh?” dice distrattamente mentre gira le pagine dell’autobiografia di Morrissey. “Quindi è tutto scritto da lui…deve averci lavorato per molto tempo…m***a,” dice il trentaduenne in quasi adorazione. “È grande. Cavoli. È proprio bello…Sto cercando di vedere se ci sono foto che non ho mai visto… Sua madre era carina…”

Di tutti gli artisti britannici che hanno avuto un impatto nella vita del giovane americano anglofilo, è Morrissey che sovrasta tutti. Si, lo studente Brandon, il più giovane di sei figli di una famiglia operaia, era pazzo di New Order, The Cure, Oasis e Psychedelic Furs – gusti che lo hanno probabilmente marchiato in modo tale da non essere considerato dai suoi coetanei nelle piccole città in cui ha vissuto in Nevada e Utah, lo hanno presumibilmente reso differente dagli altri membri di fede mormona, e indubbiamente aiutato a formare il fondamento sonico della band che ha fondato con il chitarrista Dave Keuning a Las Vegas nel 2001. Ma è stato Morrissey a formare in larga parte quello che è adesso Flowers. Quando una volta un adolescente Brandon, allora un aiuto cameriere al Caesar’s Palace, ha pulito il tavolo del suo eroe, è stato per lui come toccare il bordo della tunica del maestro.

Adesso, a dieci anni dalla pubblicazione del singolo di debutto, “Mr Brightside”, Flowers – felicemente sposato con tre figli piccoli – è a sua volta un idolo del rock: il cantante devoto, familiare, dall’aspetto curato, pieno di ambizione con una band che ha venduto 20 milioni di album. E adesso è tempo di “Best of…”. Con l’eccessivo coraggio che li caratterizza è stato chiamato Direct Hits.

“L’idea iniziale,” dice Flowers, distogliendo finalmente lo sguardo dal racconto di Moz, “che forse era meglio, era Cream.” Ripeti un attimo?

“Era una mia idea,” sorride prima di scoppiare in una serie dei suoi “yuk-yuk”, una risata ansimante. “Era un gioco di parole che si basava sul fatto che abbiamo pubblicato una raccolta di B-side che si intitolava Sawdust. E quindi aveva senso chiamare Cream quelle che sono le nostre migliori canzoni.”

Flowers è un uomo con un astuto senso delle immagini – controlla meticolosamente e approva tutte le foto di sé stesso che vengono pubblicate. Per il pacchetto contenente i 15 momenti salienti della carriera della sua band (che include due nuove canzoni) aveva in mente una copertina, che includeva la Hoover Dam e un bacino pieno di crema al posto dell’acqua. Ma nessun grafico è riuscito a portare un’immagine della sua idea che abbia incontrato la sua approvazione. Poi gli è stata mostrata l’immagine di un bersaglio. Stava bene con l’idea dei colpi a segno – un concetto concordante col modo in cui Flowers scrive le sue imponenti e incitanti canzoni: vuole colpire il suo pubblico, forte.

“Si, ci proviamo,” dice facendo un gran sorriso, con i suoi denti abbaglianti che amplificano la sua aria da idolo della folla. “Non lo abbiamo mai nascosto. Sono stato tagliato dal pezzo di stoffa da cui sono stato tagliato. E sto diventando bravo ad accettarlo. Perché a volte sono frustrato da me stesso, so che potrei prendermi più tempo, e forse potrei scrivere canzoni migliori – e forse potrei scrivere canzoni più avant garde o creative,” dice, completamente conscio di quei critici che deridono quello che percepiscono essere come retorica nella sua band. “E invece tendo a non farlo!” aggiunge, ridendo nuovamente.

“Ma alla fine è quello che facciamo – spariamo al centro del bersaglio quando siamo assieme.”

In Direct Hits non c’è spazio per la “Wembley Song”, l’omaggio su misura che Flowers ha scritto prima che i Killers suonassero nello stadio nazionale d’Inghilterra la scorsa estate.

A parte la novità di una canzone che menziona il poco affascinante quartiere di Brent a Londra, la spiritosa e sincera canzone è stata rilevante sia per l’elenco di tutte le precedenti band e cantanti che hanno suonato a Wembley (Queen, Madonna, Elton John, e via dicendo) e per la stringata descrizione del successo ottenuto dai Killers in UK. “‘Mr Brightside’ had you scratching your head/ When you heard we were from Vegas and you were positive we were from Sheffield or Camden…” Flowers ha cantato.

“Oh si, gli inglesi lo pensavano, senza dubbio,” mi racconta adesso, dicendo che i primi ascoltatori britannici erano sicuri che il suo accento nel cantato fosse di casa. “Tutte le recensioni [dei primi singoli] menzionavano il fatto che forse pronunciavo le ‘r’ in modo più leggero rispetto a quando parlo. Ma è tutto dovuto al fatto che ero abituato a cantare canzoni britanniche da ragazzino – quindi quando cantavo mi venivano fuori così.”

Il testo della “Wembley Song” continua dando dettagli sulla storia d’amore: “The seed was planted, you took us in like your own, we were bound by tradition, my how we’ve grown” – il riconoscimento della fede dimostrata dal Regno Unito quando “tutte” le etichette discografiche americane avevano rifiutato la band. Quel supporto, ammette, è stato strabiliante per il quartetto di Las Vegas, formatosi dopo che Flowers ha risposto all’annuncio “si cerca musicista” in un giornale locale, messo da Keuning, trasferitosi a Las Vegas dall’Iowa.

“Le reazioni…!” inizia a raccontare, ricordando i primi quattro concerti dei Killers in UK, nel Settembre del 2003, un anno dopo che il bassista Mark Stoermer e il batterista Ronnie Vannucci Jr erano stati reclutati da altre band di Vegas, completando il quartetto. “Eravamo spaventati a morte,” dice, bisbigliando, mentre parla del loro primo concerto, a Camden, al pub Dublin Castle di Londra.

“Ci sono nostri concerti di cui se mi chiedi qualcosa io non mi ricordo niente. Ma mi ricordo di quel concerto – mi ricordo tutto. Indossavo una giacca che avevo comprato a Berkeley, in California – avevamo visto gli Strokes che erano diventati famosi, e sembravano perfetti. E così ho pensato: ‘E io che cos’ho da mettermi? Il minimo che posso fare è andare e cercare di comprare una di queste giacche!’ E così ne ho trovata una per un quarto di dollaro, e ce l’ho ancora. E mi sta perfetta,” questo insaziabile fissato della palestra nota con evidente orgoglio.

E comunque non è stato un debutto totalmente favorevole. “Sono caduto durante “Jenny Was a Friend of Mine” – Sono scivolato! Era un palco così piccolo che non c’era abbastanza spazio per niente. E ho pensato che quella era la fine,” dice con una mesta risatina. “Ma abbiamo avuto una recensione positive da NME, e attribuisco davvero quasi tutto quello che abbiamo adesso a quella recensione. Tutte le etichette americane che ci avevano rifiutati hanno cominciato a venirci a cercare a Las Vegas dopo quella.”

E, aggiunge Flowers, la passione non è diminuita mentre i Killers sono stati ripetutamente in tour in UK per supportare l’album di debutto, Hot Fuss (2004). “Nessuno aveva mai reagito così fisicamente ed emotivamente nei nostri confronti – e così musicalmente. È parte della vostra tradizione. Quando Mark suonava ‘Jenny Was a Friend of Mine’, in Scozia le persone cantavano le parti di basso! Nessuno lo fa qui! Quindi ha davvero spinto la nostra sicurezza, e ci ha davvero aiutati ad arrivare dove siamo in tutto il resto del mondo.”

Il fine settimana in cui ci siamo incontrati segnava l’ultimo concerto – un’apparizione in un festival a Las Vegas – del tour durato più di un anno in supporto del quarto album in studio della band, Battle Born. Ma fedeli alle loro ambizioni la pausa sarà breve. Il produttore britannico Steve Lillywhite (U2, The Rolling Stones) arriverà fra alcune ore per registrare il singolo di Natale di quest’anno (il loro ottavo; tutti i ricavati andranno all’organizzazione benefica di Bono [Red]).

“Per noi è una celebrazione di questi dieci anni,” dice Flowers sul loro viaggio in Europa. “Alcune persone forse non farebbero tutto questo per un ‘Best of…’ Ma ho scoperto molta musica attraverso i Best of, da Elton John ai Cars a Otis Redding, Johnny Cash… Quindi voglio promuoverlo! Sono contento di averne uno.”

Durante questi dieci anni, ha mai avuto un incontro vero e proprio con Morrissey?

“L’ho incontrato una volta, ma in realtà non ne parliamo molto a riguardo!” risponde, frettolosamente. “L’ho incontrato fortuitamente quando Flamingo [l’album solista di Flowers del 2010] stava per essere pubblicato, al Sunset Marquis [hotel di Los Angeles], e abbiamo parlato per qualche ora.” Fa una pausa. “Perché ne stiamo parlando? Non ne ho mai parlato!” dice come se gli mancasse il fiato, esasperato. “No! Non ne parlerò!”

“Devi,” dico. “Ti ho dato il suo libro.”

“Tutto quello che dirò è che… ah… Sapeva che Flamingo sarebbe andato al numero 1 in UK – è aggiornato su queste cose. Neanche io sapevo che sarebbe andato al numero 1.”

Abbiamo stabilito che pensa che Morrissey cammini sull’acqua – ma Flowers sta veramente dicendo che pensa che Bigmouth sia anche chiaroveggente?

“No, ovviamente controlla le classifiche di metà settimana e roba simile. E io dissi, ‘beh, ma posso ritenermi fortunato se sarò nella Top 20 in America.’ E lui disse, ‘ma l’Inghilterra non è l’unico posto che importa?’ Credo che capisca il nostro punto di vista, i nostri inizi…”

Moz ti ha dato qualche saggio suggerimento?

“Um, non necessariamente… Sto divulgando troppo, credo… OK, mi ha chiesto perché lo stessi facendo. Perché lo faccio? E nessun giornalista me lo aveva mai chiesto prima. E ho brancolato nel buio. Non avevo nessuna risposta buona. E dieci minuti dopo me l’ha chiesto di nuovo – ‘perché lo fai?'” Flowers ride di nuovo. “È forse la domanda più filosofica e piena di significato. Quindi adesso mi ritrovo a pensarci più spesso di quanto avrei fatto.”

E ha trovato una risposta?

“No, non ho una risposta. E sono passati tre anni…”

Flowers ha chiesto a Morrissey perché lo faceva?

“No!” dice quasi arrabbiato con uno sguardo che dice “già…”. “È stato lui il responsabile!”

FonteThe Independent