Noisey [03-08-2016]
Mark Stoermer è nella sua auto climatizzata, ferma in un parcheggio. Fuori, l’asfalto bollente di Las Vegas ha raggiunto i 40 °C. Sembra contento, entusiasta. Il bassista dei Killers (colui che ha scritto i giri di basso che hanno reso Jenny Was a Friend of Mine e tante altre così indimenticabili) ha un altro album da solista in uscita. Successore del suo debutto del 2010, Dark Arts esplora un nuovo territorio da noi recentemente descritto come esoterico. Dall’anima nebulosa ed equivoca della traccia di apertura Drifting Caterpillar, all’elevato prog-pop di Are Your Stars Out? abbellito dagli archi, all’organo in stile Steely Dan di Take My Time, Dark Arts è un album in cui immergersi, traccia dopo traccia. L’intero album si può ascoltare in anteprima qui sotto.
A differenza di molti cantautori che iniziano con un fraseggio alla chitarra, Stoermer, che sostiene di non essere “uno portato per scrivere testi”, non riesce a mettere a punto una canzone se il testo non è finito, e per far realmente avanzare il processo aveva bisogno di qualcuno a cui sottoporre le sue idee. In un’occasione si è servito del suo amico Merkley e di una scrittura collaborativa realizzata tramite messaggi (ne parleremo in seguito), ma è stato soprattutto David Hopkins della band di Las Vegas Bombay Heavy a fargli da complice. Uniti dalla passione per la musica degli anni ‘60 e ‘70 (dai Pink Floyd, ai Led Zeppelin, ai Beatles) e per le band degli anni ‘90 come i Blur e i Radiohead, a differenza di ciò che aveva fatto per l’album precedente e grazie all’aiuto di Hopkins, Stoermer ha sfruttato l’occasione per essere più audace con la sua chitarra.
“L’album precedente è stato il mio primo tentativo in assoluto ed era più basato sulle storie”, spiega. “Questo invece lascia respirare di più la musica durante gli assoli di chitarra, e sono anche riuscito a realizzare il sogno di infilarci un po’ di classic rock. È stato bello lavorare in studio e per me è quella la cosa più importante”.
Quello, e anche osare, e crescere come autore e musicista. Abbiamo discusso con Stoermer di Dark Arts, dell’esperienza con gli Smashing Pumpkins, del ritorno all’università, e di cosa hanno in serbo i Killers.
Noisey: Ciao Mark! Non riesco ad immaginarti completamente a tuo agio davanti a un microfono.
Mark Stoermer: Infatti è così, non lo sono nemmeno se sono in studio di registrazione, ma volevo incidere queste canzoni ed è sembrato il modo migliore di farlo. Per quanto riguarda il cantare dal vivo, l’ho fatto solo due volte in tutta la mia vita: era una cover band dei Rolling Stones, ed eravamo in un bar. Non ho nemmeno mai fatto karaoke; solo una o due volte in quei privée che si affittano. L’ho preso come un’altra sfida. Come un altro modo di esplorare un aspetto della musica su cui non mi ero mai soffermato. Per me è naturale suonare il basso e la chitarra, com’è naturale scrivere testi, ma cantare davanti ad altri non lo è, e non so in che misura lo farò.
Quali sono le canzoni di cui sei più orgoglioso?
Diciamo che Blood and Guts (The Anatomy Lesson) è quella che preferisco. Credo di averla scritta in poche ore, e forse è proprio per questo che mi piace: è poco elaborata. Sento di aver raggiunto il mio obiettivo, cosa che non è sempre facile, ci avevo già provato in passato. Sono orgoglioso soprattutto del testo. È ispirato a un dipinto di Rembrandt intitolato Lezione di Anatomia del dottor Tulp: il ritornello è raccontato dal punto di vista dello studente che sta andando nel panico per il cadavere che ha davanti, e ha una crisi esistenziale. Le strofe, invece, sono raccontate dal punto di vista del medico che descrive il corpo e ha un senso dell’umorismo un po’ dark. L’ho inserito nell’ambientazione musicale con cui sono cresciuto, come Pink Floyd e gli Who, e credo di essere riuscito ad imitare quel sound senza plagiare nessuno.
Chi è Merkley?
È un amico di San Francisco che in un certo senso ha di nuovo stimolato la mia creatività e mi ha insegnato un gioco chiamato Ping Song in cui si scrive il testo di una canzone assieme usando solo messaggi di testo e vocali. La canzone si riduce al suono e alla melodia, si scrive un verso alla volta e ciascuno di questi è una risposta al verso dell’altro, fin quando non si ottiene l’intera canzone. Il pezzo che abbiamo scritto si intitola Pretend Song. Quel processo mi ha spinto a scrivere di più, e poi mi sono ritrovato con varie canzoni da sottoporre a David. Quello stile di scrittura ti fa prima pensare al testo e alla melodia, e solo dopo allo stile e alla produzione.
Hai terminato l’album a Febbraio. Adesso che hai avuto un po’ di tempo per distanziartene hai notato qualche tematica che accomuna le canzoni?
C’è un tema generico ma ogni canzone ha la sua storia. Se c’è un tema è nell’intro, letta da Tony Curtis [nota: non il defunto attore del cinema] e scritta da me. È intitolata Alchemical Formula. In breve, Dark Arts simboleggia un modo di accettare i lati oscuri del proprio inconscio e accettarsi totalmente così come si è. Ma è molto generico, sempre se effettivamente c’è un tema. È che mi piaceva questa idea come punto iniziale dell’album, e poi quello è diventato il titolo.
Quali sono i tuoi lati oscuri che hai dovuto accettare?
Domanda difficile. È più una questione di accettare le proprie paure e farsi frenare o trasformare quell’energia in qualcosa di positivo. Per esempio, se io ho paura di cantare in presenza d’altri, cerco di trasformare questa energia negativa in positiva. Forse è un concetto vago, astratto, lo so. Significa prendere quell’energia, quelle sensazioni, e usarle per fare qualcosa di positivo.
Adoro il fatto che tu avessi questa tradizione personale di ascoltare un intero album prima di addormentarti. Io certamente lo facevo da adolescente, ma non so se la gente è ancora solita farlo. Quali erano i tuoi album preferiti?
Beh, lo facevo ogni sera, e non ascoltavo sempre gli stessi. Mi stufavo subito. Non ero uno da singoli o da greatest hits, quindi dovevo ascoltare un album intero e poi riprenderlo un mese dopo. A volte gli album appena comprati li ascoltavo tre o quattro volte di fila prima di metterli da parte, e andavo a rotazione. Per esempio Revolver dei Beatles, Animals dei Pink Floyd, Physical Graffiti dei Led Zeppelin, ma anche musica attuale negli anni ‘90: Bleach e Nevermind. Ho continuato a farlo fino a quando abbiamo iniziato i tour e il mondo della musica è cambiato, con i negozi di musica che hanno cominciato a chiudere. Quando andammo in tour per la prima volta portai con me il mio porta-cd con 500 cd, e ricordo che un giorno ero in un negozio Tower Records e pensai di averlo perso, andai nel panico. C’è voluto un paio d’ore per trovarlo. Eravamo in tour per Hot Fuss, avevo portato il lettore cd e ho continuato con quell’abitudine fino ai 25 anni, poi è diventato tutto digitale e le cose sono cambiate. Ma ho voluto comunque fare un album del genere anche se quei giorni sono finiti. È una sorta di tributo al passato, suppongo.
Quali sono state le tue influenze non musicali nella realizzazione di questo album?
Libri e film, soprattutto. Il testo di Spare the Ones that Weep è basato su Alphaville di Jean-Luc Godard. Ma mi piace pensare che non parli solo del film. Parla di una persona che guarda il film, che vorrebbe essere un personaggio del film, ed è anche una sorta di tributo ad Anna Karenina. Anche il video è stato ispirato dal film. Musicalmente è la più stravagante. Are Your Stars Out? invece è basato sul libro di J.D. Salinger Raise High the Roof Beam, Carpenters e Seymour: An Introduction (Alzate l’Architrave, Carpentieri e Seymour. Introduzione, ndt.), che è il seguito della storia della famiglia Glass. Seymour scrive una lettera a Buddy Glass che gli aveva mostrato i suoi scritti, e gli dice “Are your stars out?”, la frase che ho usato. L’essenza della lettera sta nel fatto che Seymour gli dice che i suoi scritti sono buoni, ma gli chiede anche se ci ha messo tutto l’impegno possibile e tutto se stesso. Quindi l’idea del testo è quella di un fratello maggiore che parla al più giovane. Poi, Blood and Guts è ispirata a un dipinto.
Capito. Comunque, che succede? Non hai suonato con i Killers al Governors’ Ball. Lavorerai al nuovo album ma non andrai in tour? Che programmi hai?
Per ora non vado in tour. Ma stiamo ancora lavorando assieme. Abbiamo tenuto circa 1000 concerti in 14 anni, la band esiste dal 2002, abbiamo iniziato i tour nel 2003, e, so che abbiamo rallentato un po’, ma non tutti hanno gli stessi obiettivi nella vita, e io non voglio andare in tour in questo momento. Siamo giunti ad una decisione matura tale per cui loro continueranno a fare ciò che stanno facendo e io continuerò a fare ciò che voglio fare, e una di queste cose riguardava la pubblicazione di quest’album. L’altra è tentare di laurearmi, cosa che avevo messo in pausa nel 2002. Ho provato un paio di volte a seguire dei corsi, ma ho dovuto abbandonare. In questo momento seguo un corso online, ma sto ancora considerando l’idea di andare da qualche parte.
Cosa studi?
Studiavo filosofia, ma adesso sto virando verso la storia dell’arte.
Perché è una cosa importante per te?
L’idea di finire qualcosa che avevo iniziato non mi ha mai abbandonato. L’istruzione è importante per me. Ho avuto molta difficoltà a capire se potevo fare l’autodidatta. La risposta è sì, ma non è comunque la stessa cosa senza la disciplina, senza qualcosa che ti spinge ad imparare. Alla fine è solo un pezzo di carta, ma avere una tabella di marcia dà uno stimolo in più. Devi esprimere le tue opinioni: c’è una scadenza, devi leggere questo e quel libro e scrivere questo e quel saggio. È tutto strutturato in modo decisamente sensato. L’istruzione è tutto e io voglio accrescere la mia. Prima di entrare in una band pensavo sempre che se avessi potuto vivere di questo senza lavorare, l’avrei fatto. Sono in una situazione in cui posso farlo, e di certo non sto diventando più giovane. Il modo migliore per farlo è imparare non solo col fine di costruirci una carriera sopra, perché io sono stato abbastanza fortunato da poter lavorare con la musica.
Senza dubbio! Tornando un attimo ai Killers… non avete annunciato l’uscita di un nuovo album, vero?
Non c’è niente di certo per ora; è troppo presto anche per commentare. Ci stiamo lavorando da un anno, ma abbiamo iniziato e ricominciato più volte. Non sappiamo ancora cosa usare e cosa scartare.
E per finire: sei andato in tour con gli Smashing Pumpkins qualche anno fa. Sono sicura che come me eri un loro grandissimo fan negli anni ‘90.
Siamese Dream e Gish erano tra gli album che ascoltavo prima di addormentarmi, e anche Mellon Collie… non potevo dire di no. Avevo già incontrato brevemente Billie un paio di volte, ma mi ha chiamato e mi ha descritto la situazione, dicendo che avevano registrato un album ma in quel momento erano senza batterista e bassista e volevano andare in tour comunque, ed è stata una bellissima esperienza. Ho adorato suonare quelle canzoni e per me è stato un modo per suonare in una band che opera in maniera diversa dai Killers. Qualche momento rock e progressive in più, improvvisazioni, tutto molto rilassato, quattro musicisti sul palco, con una setlist costruita in corso d’opera perché alcune canzoni non erano fisse. Ma solitamente era soprattutto un concerto di best of, e abbiamo girato il mondo!
Fonte—Noisey