Q Magazine [10-2018]
È giunto il momento di condividere quello che è successo nella mia vita. Cose tenute private per anni.
Brandon Flowers ha la perfetta vita da cantante rock. La sua band, i Killers, sono ormai a livello stadio. Vive in una villa a Las Vegas con la sua innamorata dai tempi della gioventù e i loro tre figli. Ha tutto. Eppure dietro alla facciata, tutto ha iniziato a crollare: il suo gruppo, la sua musica, sua moglie. Simon Goddard lo trova all’alba di un altro album dei Killers, ma anche ad un incrocio, con membri della band che tagliano la corda e la sua famiglia che se ne va da Las Vegas… sta per calare il sipario finale sui Killers?
Per chi lo vuole sapere e apprezza queste cose, Brandon Flowers sta bene in mutande. Sono blu scuro, piuttosto comode e Flowers ha molto da accomodare. Di solito non è così spudorato ma visto che non ha altri posti nel backstage per cambiare i pantaloni, tutti i presenti, sua sorella inclusa, hanno una breve visione del boquet coperto di cotone di Flowers.
Ma in fin dei conti è troppo felice per curarsene. I Killers hanno appena suonato un breve set sulla Strip di Las Vegas di fronte al Caesars Palace, l’iconico hotel casinò dove la madre del batterista, Ronnie Vannucci, ha lavorato per 40 anni come cameriera di cocktail, e dove il diciottenne Flowers ha servito ai tavoli del ristorante italiano Spago’s. È stato qui, al Caesars, che Morrissey è arrivato un giorno da Spago’s per del tè e una pizza ai funghi e dove Flowers, l’apostolo più tremolante degli Smiths nell’emisfero settentrionale, ha rubato il Santo Graal da cui il suo idolo aveva bevuto. “La Tazza” è ancora adesso uno degli oggetti a cui tiene di più.
Ma stasera è Flowers a essere il venerato santo del pop, mentre suona di fronte a qualche migliaio di fan e altrettanti pigiati sulle terrazze degli hotel circostanti, ed è visto da più di 2,5 milioni di persone sintonizzate sulla ABC per il Jimmy Kimmel Live!.
I Killers sono qui per promuovere l’imminente quinto album, l’emozionante Wonderful Wonderful, e aprono il set con The Man, la satirica canzone da movimento del bacino reminiscente del funky di Bowie. Ma la location fa cadere Flowers, visibilmente sopraffatto, in un vortice di nostalgia, e così inizia presto a condividere con il pubblico storie sull’origine della band. Sull’orribile appartamento “a Koval Lane, proprio dietro quei casinò” dove il chitarrista Dave Keuning viveva, talmente povero da andare avanti mangiando riso in bianco o spaghetti ramen con il ketchup. E su come, nell’era pre-cellulare, Flowers fosse solito lasciare idee di canzoni sulla segreteria telefonica di Keuning, mentre aveva un momento di pausa tra turni a lavoro come aiuto cameriere al vicino Gold Coast, tra questi un neutro pastiche alla Lou Reed – “you gotta help me out, yeeeeeah, yeeeeeah” – la scintilla che ha dato vita a All These Things That I’ve Done da Hot Fuss, l’album da milioni di copie del 2004. Poi hanno suonato la canzone, e per tutti i suoi incredibili 5 minuti e 49 secondi è sembrata la cosa più grande e splendente sulla Strip ricoperta di neon e grattacieli.
Ed è per questo che, nell’angusto backstage, cambiati i pantaloni, Flowers è raggiante. “La sensazione che ho sul palco,” dice con il suo sorriso alla Tom Cruise, “è come essere collegati elettricamente all’universo.” Anche Keuning è seduto e sembra stranamente sereno, anche se è più difficile immaginare dove stia orbitando la sua testa. Perché cinque ore prima, ha preso Q da parte e ha sganciato la bomba che questo potrebbe essere uno degli ultimi concerti con i Killers.
Il bassista Mark Stoermer ha già annunciato che non sarà più in tour con la band, scegliendo al suo posto la mensa, dato che inizierà un corso di laurea in Storia dell’Arte alla New York University a Settembre. Stoermer avrebbe dovuto suonare stasera, ma ha giustificato la sua assenza con un dolore ricorrente alla schiena.
Allo stesso modo Keuning abbandona la vita in tour per rimanere a casa con suo figlio a San Diego. Cosa tutto ciò significhi per il futuro dei Killers nessuno lo sa. Ma le tempistiche sono certamente strane: proprio quando stanno per pubblicare l’album più emozionalmente intenso della loro carriera, quello in cui il cantante e scrittore principale dei testi si spoglia completamente e non rimane solo in mutande.
“Cose a cui ho fatto da guardia, che ho protetto e cercato di tenere private per anni,” Flowers dice a Q. “Ho sentito che era giunto il momento di scriverne e cantarle. Di condividere con il mondo quello che è successo nella mia vita.”
L’appartamento a Koval Lane, famoso per la cucina dei poveri di Keuning, non c’è più. Così come la location originale del negozio di seconda mano Buffalo Exchange, dove Flowers e Keuning sono andati in cerca di vestiti per il primo concerto dei Killers. Lì, tra gli stand vintage, si sono imbattuti nella ventenne Tana Mundkowsky, fan come loro dei Joy Division, che ha dato a Flowers il suo numero di telefono. “Oh, non sono mai stato il tipo da dare in giro il mio numero,” dice agitandosi. “E da quanto ho capito, lei giura che di solito non lo faceva. Ma quel giorno ha avuto la sfacciataggine di farlo.” E per fortuna. Flowers e Mundkowsky si sono sposati nel 2005 e hanno tre figli: Ammon (10), Gunnar (8) e Henry (6).
Anche il Café Espresso Roma, dove Flowers e Keuning hanno suonato il primo concerto nel Febbraio del 2002, non c’è più. Quella sera hanno suonato tre canzoni come duo acustico, fra cui Side dei Travis, anche se i loro ricordi sono diversi riguardo alle due canzoni originali. Flowers è sicuro di aver suonato la canzone che li ha resi famosi, Mr Brightside, la prima che lui e Keuning hanno scritto assieme, e la futura B-side Under The Gun. Keuning crede che fossero “una canzone che parlava di essere mollati” intitolata Replaceable e un’altra intitolata Newsman. Ma entrambi concordano di essere stati nervosi come mai nella loro vita in quell’occasione.
“Non sono mai stato così terrorizzato,” dice Flowers, ricordando l’accaduto la sera prima del concerto al Caesars, nel loro spazio per le prove a poca distanza dalla Strip. “Sono stato per tutto il tempo a cercare un posto per vomitare a terra invece di addosso alle persone. Ricordo ancora di come guardassi per terra pensando, ‘Se succede, vado verso sinistra.’ Dopo quella volta ho iniziato a bere prima di suonare.”
Per i 60.000 fan presenti al concerto di Luglio a Hyde Park, Principe Harry incluso, il pensiero di un Flowers ridotto ad uno straccio vomitante è l’estremo opposto dello showman vestito con una giacca rosa di pelle che salta sul palco in mezzo ad una pioggia di coriandoli rosa e intona, “I got news for you, baby, you’re looking at The Man.” Dal vivo, Flowers è un laureato in pop con lode, che prende a piene mani gli insegnamenti di eroi come Elvis, Bowie, Bono, Springsteen, Neil Tennant, Dave Gahan e, sua maestà trangugia-té, Morrissey. Musicalmente è una specie di mutevole mostro Frankenstein di tutti loro, ma e un mostro a sé stante nella sua figura, che ha la struttura ossea di un attore della Hollywood anni ‘40, e una bellezza da far inciampare le donne (e gli uomini) contro i mobili quando entra in una stanza. Nel volto, voce e postura, Brandon Flowers è la tipica favolosa pop star che si può trovare sul Pianeta Terra nel 2017. Semplicemente tutto ciò non è stato naturale.
“Brandon è stato un frontman riluttante,” dice Vannucci, il cui garage a Las Vegas era diventato l’embrionico quartier generale per le prove dei Killers. “Non era molto a suo agio con il ruolo. Di solito urlava nel microfono per colpa del nervoso. Ha sempre avuto quel qualcosa, ma non riusciva a farlo uscire. È stata sicuramente una cosa coltivata e nutrita.”
“C’è voluto molto tempo,” concorda Flowers. “Perché avevo una tale venerazione nei confronti di altri cantanti. Idolizzavo Morrissey. So che lo dicono tutti, ma lo idolizzavo veramente tanto. Per cui mi chiedevo, ma che diritto ho di prendere in mano un microfono? Se hai visto Morrissey Live In Dallas [il video concerto del 1991], perché mai dovresti anche solo tentare di stare sul palco? Non sembrerai mai così, non avrai mai quell’ammirazione da un gruppo di persone. Quindi mi ci è voluto tanto tempo per superare queste considerazioni. Anche adesso, abbiamo visto da poco i Depeche Mode a Bilbao, in Spagna, e ho visto alcune cose che hanno fatto, e sono uscito dal concerto con la coda in mezzo alle gambe.”
Di solito non si ha questo tipo di umiltà da persone che hanno riempito lo Stadio di Wembley, come i Killers hanno fatto nel 2013. Ma l’ego di Flowers ha da sempre beneficiato dall’essere lui stesso un fan. Un indizio sulla sua personalità è dato dal ritratto di Elvis Presley che ha a casa. Non l’Elvis degli anni ‘50, e neanche il preferito di Flowers, quello del ritorno del 1968, ma un Elvis di quattro anni con i capelli biondi. “Amo le foto delle persone quando non erano ancora famose,” dice. “Quando erano giovani e innocenti. Non so perché.”
Anche a 36 anni, Flowers ha qualcosa di stranamente innocente: non proprio alla Peter Pan o Forrest Gump, ma totalmente privo di cinismo. Come The King, è un tipo educato alla “o caspiterina, signora” e, pur non mancando in confidenza, durante la conversazione il fantasma di quella timidezza dettata dalla paura da palcoscenico, che in altre occasioni è riuscito a superare, aleggia ancora su di lui. Ha anche l’abitudine di punteggiare le frasi con un’adorabile risata nervosa, un “hehehe” ad alto volume, simile al suono che le anziane zitelle emettono quando tastano la temperatura dell’acqua per il bagno con le dita del piede.
Chi ancora non avesse capito che The Man è la presa in giro di Flowers al macho alpha, non la sbruffonata che può apparire all’inizio, dovrebbe veramente sentire La Risata.
Brandon Richard Flowers è nato a Henderson, poco lontana da Las Vegas, il 21 Giugno 1981, mentre gli Stati Uniti ballavano ondeggiando sulla voce rauca di Kim Carnes in Betty Davis Eyes, allora in testa alle classifiche. Pur ereditando l’amore anglofilo per la musica alternativa di suo fratello Shane, di 12 anni più vecchio, insiste sul fatto che non sia mai stato il classico rammollito indie. “Volevo fare bene negli sport. Volevo ascoltare gli Smiths e fare il quarterback della squadra di football.”
Lo hai fatto?
“No! [La Risata] E non ho mai nemmeno giocato a football. Ma dentro di me volevo essere bravo in tutte quelle cose. Forse era solo perché volevo rendere felice mio padre.”
Il ricordo a cui Flowers è più legato di suo padre Terry, un fruttivendolo che si è convertito al Mormonismo quando Brandon aveva sei anni, era guardare Tuesday Night Figths, il settimanale programma di boxe. “Sono stati alcuni dei momenti più belli della mia vita. Seduto lì vicino a mio padre, stare sveglio per aspettare i pesi massimi alla fine. Volevo far parte di tutto ciò che lo entusiasmava”.
Aveva otto anni quando lui e suo padre hanno guardato, a casa di amici dall’altra parte della strada, la scioccante sconfitta al titolo di Mike Tyson ad opera di Buster Douglas nel 1990, trasmessa dalla tv a pagamento. Il ricordo dell’allora invincibile Tyson che cadeva al tappeto ha inseguito Flowers da quel momento, ed ha deciso di “metterlo allo scoperto ed esplorarlo” nella nuova canzone dei Killers intitolata Tyson Vs Douglas. Gli dico che il suo lamento per un combattente caduto, caricato ancora di più con il sample del commento dell’incontro, non è dissimile da Boxers, singolo di Morrissey del 1995. Da apostolo qual è, si lancia subito a cantare, in perfetto stile Morrissey, la prima frase della canzone “[canta] ‘Losing in front of your home crowd…’ [La Risata] Si, direi di si. Ma la canzone è su di me e la mia famiglia, e su come sono considerato dai miei figli. Non voglio che mi vedano cadere come ha fatto Tyson.”
Oggi, Flowers è spaventosamente muscoloso, il risultato di un regime di allenamento giornaliero: come Robbie Williams, è del parere che a nessuno piace una pop star grassa. Ma da bambino ha avuto problemi a difendersi, come ha scoperto dopo che la sua famiglia si è trasferita a Nephi, Utah quando aveva nove anni. “Alcuni ragazzetti della campagna mi hanno picchiato un paio di volte,” dice ridendo. “Sono più forti dei ragazzetti di città. È un fatto assodato. Voglio dire, dovresti vedere le loro mani! Crescevano in fattorie, si svegliavano con i loro padri, tiravano le corde e si occupavano degli animali. Per cui sono stato alla loro mercé un paio di volte. Solo perché ero diverso. Ho imparato che o me ne stavo alla larga o imparavo a combattere. [La Risata] Me ne sono stato alla larga.”
Flowers è tornato a Las Vegas per finire il liceo, vivendo con la zia di fronte al casinò Sam’s Town, che ha dato il nome al secondo album dei Killers. Dopo la falsa partenza assieme a due studenti di cinema in un trio synth-pop, i Blush Response, poi battezzato con il fuoco dal vivo degli Oasis all’Hard Rock Hotel nel Maggio 2001, ha trovato il suo destino nell’annuncio in un giornale locale.
Dave Keuning, quasi cinque anni più vecchio di Flowers, si era trasferito dallo Iowa con la speranza di formare una band, dato che era più economico vivere a Las Vegas rispetto a New York o Los Angeles. Stava per gettare la spugna e andarsene quando Flowers ha risposto al suo annuncio di ricerca musicisti. “Siamo andati subito d’accordo,” dice Keuning. “Così gli ho dato una cassetta con un paio di canzoni. La volta dopo è tornato con i testi. Uno era quello di Mr Brightside. Ho pensato, ‘Wow! La cosa si fa divertente. È ottima.’”
“Brandon e Dave ne erano entusiasti quanto me,” dice Vannucci. “Era un pensiero comune. Abbiamo suonato qualche bar sport locale, ci vestivamo e andavamo a suonare come se fossimo headliner a Knebworth. Ci caricavamo a vicenda. Poi è arrivato Mark al basso ed è a quel punto che le cose sono iniziate davvero.”
Nessuno avrebbe potuto prevedere il successo da zero a cento che i Killers hanno ottenuto con la pubblicazione di Hot Fuss nel 2004. “Il giro sul razzo” come lo chiama Vannucci. “È stato così veloce,” dice il batterista. “Sono contento che sia successo ma non eravamo preparati e, come band, non ci conoscevamo poi così bene. Ci siamo incontrati, abbiamo passato un anno a fare canzoni e poi all’improvviso siamo stati legati a questo razzo, con altre tre persone e abbiamo imparato a conoscerci piuttosto velocemente. È orribile. È da pazzi. Sono ancora dell’idea che stiamo cercando la normalità da quel periodo.”
Flowers è riuscito a tenere sotto controllo la paura del palco come aveva fatto in quel primo concerto. Con l’alcol. “All’inizio era la Coors Light. [La Risata] Ho iniziato con quella. Poi la cosa è andata oltre. Oh, diamine…”
Uno dei ricordi più vecchi riguardanti la sua infanzia è stare nella macchina di sua madre mentre andavano avanti e indietro lungo le file di macchine nel parcheggio di un casinò. Con il senno di poi da adulto ha capito che stavano cercando suo padre. Nonostante sia sobrio dal giorno della conversione, Terry Flowers era un alcolizzato, come lo era stato suo padre, e il padre di suo padre. Chiedo a Flowers se, come discendente di alcolizzati, avesse paura che la storia si ripetesse. La sua risposta è inaspettata.
“No,” dice con calma. “Credo di averlo usato come scusa. Invece di averne paura, mi ha quasi giustificato. E questo mi spaventa se penso ai miei figli.”
Il soggetto del passato edonistico di Flowers – come specificherà ampiamente “per i primi due album” – lo fa sentire ancora molto a disagio. La Risata diventa sempre più singhiozzante finché si mette, senza pensarci, una mano sulla bocca e la usa durante la chiacchierata come se fosse la porta di una botola ogni volta che è richiesto.
Presumibilmente, sarai passato dalla Coors Light ai super alcolici?
“Probabilmente. E poi quando abbiamo iniziato a lavorare a Sam’s Town era roba diversa.”
Droghe?
“[La Risata remix su vinile 12”]”
Non ti piace parlarne, vero?
“Non ne ho mai parlato… [sorriso di panico] Non ho mai… [occhi da cucciolo che ti fanno sentire in colpa] Io… Non ne voglio parlare.”
Credi che stavi tentando di essere qualcuno che non eri?
“Sentivo che dovevo farlo, si,” dice, rilassandosi un po’. “Quasi a voler essere visto come importante, capisci? In quel periodo c’erano i Libertines e gli Strokes e il modo in cui venivano visti, se non ti comportavi anche tu così allora non potevi essere ‘La Cosa Vera’. È stato glorificato. Non ci sono altri modi per spiegarlo. Anche se sappiamo dove ci porta e quante morti ci sono, CONTINUIAMO a farlo. Si CONTINUA a farlo. Così ci ho provato e non mi è andata molto bene. Non fa per me.”
Flowers è pulito e sobrio da quando è diventato padre 10 anni fa. Al mondo esterno, lui e la moglie Tana sembrano avere la famiglia perfetta, che vive felice e contenta con i suoi tre figli in una casa coloniale da 4 milioni di dollari, con piscina all’aperto, una scalinata in stile belga e il pianoforte regalatogli da Elton John. Ma negli ultimi cinque anni, mentre Flowers è stato in tour e in sala di registrazione, sia con i Killers sia da solo, ha dovuto indossare una maschera in pubblico per nascondere un incubo famigliare privato.
“È stato… da pazzi,” dice, cercando l’aggettivo giusto. “È stato orribile.”
Nel 2013, Tana, la moglie di Flowers, ha rilasciato un’intervista per il Mormon Women (Donne Mormone, ndt.) in cui alludeva ad un passato in famiglia con abusi, e ai suoi problemi di ansia e depressione. “È una condizione medica e ne ho i sintomi,” aveva ammesso. Flowers dice che ha sempre sospettato che ci fosse “qualcosa di latente” in sua moglie. “Ma non si è manifestato completamente fino ai 30 anni circa.” Tana è stata poi diagnosticata con una forma estrema di Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS) conosciuto anche come DPTS Complesso. “Quello che differenzia il DPTS Complesso da altre forme è che deriva da eventi traumatici multipli,” spiega. “Non si manifesta solo con una causa specifica. Le sono accadute un sacco di cose. Non l’avevo capito prima. E non ce l’avremmo mai fatta se non fosse stata aiutata.”
La condizione di Tana è diventata critica nell’Agosto del 2015, il mese in cui Flowers stava portando in tour il suo secondo album solista, The Desired Effect, quando ha cancellato le ultime sei date americane. La spiegazione ufficiale è stata “per cause impreviste.”
“Ho cancellato quelle date,” rivela adesso, “perché lei era arrivata al punto – è davvero difficile per me anche solo dirlo – ma stava avendo pensieri suicidi. Stava davvero così male.”
Mentre cercava di fare i conti con la gravità della malattia mentale di sua moglie, e allo stesso tempo crescere i suoi tre giovani figli, la sua musa creativa è comprensibilmente scomparsa. “Mi stavo veramente sforzando,” dice, parlando dei suoi sforzi per cercare di iniziare il successivo album dei Killers nell’Ottobre del 2015. “Erano passati tre anni da Battle Born [il quarto album del 2012]. Sapevo che era giunto il momento di scrivere un nuovo album ma quando mi sono seduto per vedere cosa succedeva, ho iniziato a dubitare di me stesso.”
Si sforzava comunque ogni giorno di mettersi al piano di Sir Elton. “Non ci ho mai rinunciato, ma le canzoni erano veramente orribili,” dice, alzando gli occhi al cielo. “Ed erano così tante. Ci sono state notti in cui le riascoltavo e mi sentivo totalmente sconfitto.”
Chiedo se, da uomo credente, Flowers si sia rivolto a Dio per chiedergli di riaccendere il fuoco?
“Sento che sarebbe strano chiedere ciò quando dovrei invece pregare per la mia famiglia e la loro salute e cose simili. Ma sento che ero davvero arrivato a un punto, a volte, in cui pensavo, [guarda verso su] ‘Eddai, dammi un piccolo aiuto!’ [La Risata] Ma è raro che lo faccia.”
Fortunatamente Flowers non ha avuto bisogno di Dio perché aveva il vice: Bono. Era la Festa del Papà 2016 quando è andato a trovare il cantante degli U2 nella sua casa a Malibu. “Sono andato in pellegrinaggio,” dice scherzando. “Gli ho detto che avevo un blocco e gli ho chiesto, dato che c’erano già così tante belle canzoni, che cosa avevo io da offrire? E ad un certo punto gli ho chiesto ‘Have all the songs been written?’ (Sono già state scritte tutte le canzoni?, ndt.) Bono ha risposto, ‘È un gran bel titolo di canzone.’ E così l’ho usato.”
Have All The Songs Been Written? ha dato il via a una catarsi alchemica, liberando il dolore e i dubbi in parole e musica. “Ho capito che sedermi lì e inventarmi una storia non era ciò che dovevo fare in questo momento,” dice. “Sapevo che in questo album avrei dovuto guardare me stesso, chi ero, e tutto ciò che stava succedendo nella mia vita. Per questo in molte canzoni canto di mia moglie.”
Flowers dice che è stato solo scrivendo della situazione di Tana che è arrivato ad apprezzare completamente la complessa natura delle malattie mentali. “Mi ha aiutato a capire quello che stava passando perché sono riuscito a metterlo in parole, a capirlo e a comprenderlo al meglio. Un sacco di relazioni vengono distrutte quando succedono queste cose. Da compositore, ho dovuto dissezionare la situazione.”
Devi averle chiesto il permesso di cantare e discutere di tutto ciò in pubblico?
“Si, e non avevo mai dovuto farlo prima. All’inizio era un po’ riluttante. Ma poi alcune canzoni sono diventate così belle da avvicinarci di più. Io stavo seduto a leggerle i testi e a suonarle le canzoni al piano. Ci hanno unito ancora di più. Adesso ci danno forza. È completamente a suo agio con loro.”
La prima canzone che ha scritto per Tana è stata Some Kind of Love, che si basa su una canzone strumentale di Brian Eno, An Ending (Ascent). “Questo spiega quanto era grave il mio blocco,” dice ridacchiando. “Era così difficile per me scrivere che l’ho fatto su una canzone di Brian Eno.” Il risultato finale è ancora più struggente grazie all’angelico coro formato dai tre figli di Flowers, che cantano “Can’t do this alone/We need you at home.”
“Oh, è tosta,” dice, d’accordo con il mio pensiero. “È triste. Li portavo a scuola in macchina e nel mentre insegnavo loro la parte, e l’abbiamo provata ad ogni giro di macchina per non perdere tempo in studio. L’abbiamo registrato al primo tentativo. È stato bello, ma anche difficile. I bambini non capiscono ancora bene quello che cantano. Ma è molto commovente.”
Tana è anche la “motherless child” della drammatica canzone che dà il nome a Wonderful Wonderful. “Sua madre l’ha praticamente abbandonata,” dice chiarificando, “e quello è stato il suo primo trauma.” Un’altra canzone, Rut, ha un testo così chiaramente pieno di dolore e salvezza che Flowers ha preso l’insolita iniziative di spiegare le parole al resto della band. “Che è una cosa che non faccio mai. L’unica altra volta è stata con Human [per la frase dalla dubbia grammatica “Are we human or are we dancer?”]. Prima che quella frase fosse controversa per il mondo, lo è stata per Ronnie e Mark. Quindi con Rut ho dovuto spiegare perché la canzone fosse così importante per me. Perché non siamo quel tipo di comunicatori fra di noi. [La Risata] È stato un processo molto strano.”
Quanto strano sia stato il processo diventa chiaro il giorno dopo quando Q parla con Keuning durante il servizio fotografico organizzato nella sfarzosa Nobu Villa, un delle penthouse al Caesars; un appartamento da 35.000 dollari a notte con mobili giapponesi, un patio con giardino zen e un tavolo da biliardo con fondo viola, che di solito viene affittata da gente come Justin Bieber e J.Lo. Quando gli chiedo del processo creativo di Wonderful Wonderful, il chitarrista non risponde con estremo entusiasmo. “È quello che è,” dice senza impegno, lamentandosi del fatto che, per chissà che motivo, non è stato particolarmente coinvolto verso la fine delle registrazioni “che è il momento in cui la maggior parte delle cose vengono fatte.” Aggiunge che la sua canzone preferita è Run For Cover “perché ha nove anni.” Gli chiedo un commento sul fatto che molto dell’album parli della moglie di Brandon e come ha reagito quando, come dice Flowers, il testo di Rut è stato spiegato alla band. Stoermer aveva confermato poco prima a Q che Flowers lo aveva fatto davvero. Ma Keuning sembra genuinamente confuso dalla domanda.
“Che canzoni parlano della moglie di Brandon? Non lo sapevo.”
La conversazione diventa all’improvviso piuttosto strana. È quando poi gli chiedo della decisione di Stoermer di non andare in tour che il gatto esce dalla sacca di Keuning. “Non dovrei dire niente,” dice con cautela, “ma anche io non andrò in tour.” Aggiunge che ci dovrebbe essere un annuncio ufficiale quando Q andrà in stampa. Il catalizzatore, dice, è la prossima “folle lista di date” e la sua riluttanza a stare lontano da casa. Come Stoermer, anche lui spera, in teoria, di continuare a registrare con i Killers. “Quello che so è che non andrò in tour,” dice. “Onestamente non so cosa succederà poi.”
Una settimana più tardi Keuning invia un’email a Q per spiegare meglio le sue motivazioni. Inizia dicendo che anche per lui il concerto al Caesars di Las Vegas è stato molto emotivo: ha ancora la vecchia segreteria telefonica, che Flowers ha menzionato sul palco, nascosta in un armadio. Dice che lui e Flowers “sono ancora vicini… come fratelli”, ma aggiunge, “Si può dire che non siamo sempre sulla stessa pagina e abbiamo vite e impegni diversi.”
Tuttavia, la speranza di Keuning combacia con quella di Stoermer, e cioè suonare a qualche concerto selezionato in futuro.
“Amo la musica, e i fan,” conclude. “Non è stata una decisione facile da prendere. Questo è sicuro.”
Nel 2010, quando a 29 anni aveva solo due figli, Flowers aveva detto a Q che aveva “paura di perdere il tempo non passato con la mia famiglia”. Quella paura si è intensificata. “Mi sento ancora in colpa quando sono via,” dice, echeggiando lo stesso dilemma di Keuning. “Mia moglie e i miei figli sono il centro del mio universo. Quando sono a casa sono totalmente devoto a loro.”
Sono passati sette anni da quando Flowers ha perso sua madre, Jean, morta di tumore al cervello a soli 64 anni. Suo padre, Terry, sta “molto bene” e compirà 73 anni a Settembre. Ultimamente, Flowers ha iniziato ad accettare quello di cui ognuno di noi ha paura diventando vecchi. “Ci provi quanto vuoi a evitarlo ma mi vedo fare o sento dire cose quasi come se mio padre avesse preso possesso di me,” dice ridendo. “Ci sono frasi sbagliate grammaticalmente che dico come dice lui. E lo faccio anche se so che sono sbagliate. Ad esempio, lui dice, ‘You’re not going anywheres’. Ci aggiunge una ‘s’. Ho notato che anche io ogni tanto lo faccio.”
Flowers non guarda la TV quasi mai ma, tempo permettendo, ogni tanto guarda boxset interi di una serie. “Better Call Saul,” dice entusiasta, “è fatto bene come Breaking Bad.” Non è di molto aiuto in cucina, anche se sta cercando di imparare la leggendaria ricetta degli spaghetti di suo padre (solo il sugo – la prospettiva di preparare la pasta fresca è accolta da un clamoroso, “Assolutamente no!”). Ma anche nei giorni liberi in realtà non smette del tutto di lavorare. Lo studio dei Killers, Battle Born, è a soli sei minuti da casa sua. “È raro che non ci vada.”
Ma tutto sta per cambiare. Flowers sta lasciando Las Vegas. Non perché lo voglia ma perché deve, per l’amore della sua vita.
“Tutta la città è corrotta per lei,” spiega. “Ci sono strade e aree che mi mettono nostalgia. A lei invece possono ricordare qualcosa che accende la miccia [della sua malattia]. E così lascio la mia città perché è meglio per lei”.
La loro nuova casa è in Utah, il cuore dei Mormoni americani, dove Flowers ha passato gli ultimi anni da bambino. “È agrodolce,” dice. “Ma ho anche dei bei ricordi di quando ero bambino qui, quindi sono entusiasta. Non vedo l’ora che arrivi la neve per giocarci con i miei figli, e di portare a casa il primo albero di Natale.”
Quindi affiderai “La Tazza” a quelli del trasloco?
“Andrà tutto bene. [La Risata] È in una strana scatola. Arriverà sana e salva in Utah.”
Quando Flowers ha iniziato a smistare le sue cose per il trasloco, ha trovato una raccolta di ricordi di quando lui e Tana sono usciti le prime volte. Anche lei ha scoperto la sua scatola di ricordi. In quella di Flowers c’è ancora il pezzo di carta con il suo numero di telefono, che lei gli aveva dato quasi 16 anni fa al Buffalo Exchange. In quella di Tana, lei ha trovato il foglio di carta da cui il pezzo era stato strappato. “È una figata,” Flowers dice sorridendo. “Perché si possono mettere assieme. E combaciano alla perfezione.”
Riflettendo sull’attuale ripresa di sua moglie e la sopravvivenza del matrimonio, Flowers attribuisce la loro resilienza alla “fede” condivisa. Da Cristiano e Mormone fa chiaramente riferimento alla fede in senso religioso. “Una delle mie citazioni preferite è di Johnny Cash,” aggiunge, “Sul fatto che, ‘Essere un Cristiano non è per le femminucce. Ci vuole un uomo forte per vivere nel nome di Gesù. È molto più difficile che vivere nel nome del diavolo.’ Heh!”
Eppure una fede diversa, nel significato secolare di estremo ottimismo, sembra evidente nell’impegno deciso che Flowers ha nei confronti della sua band: qualsiasi sia il loro ancora incerto futuro, o chiunque ne farà parte. “La mia identità è come cantante dei Killers,” dice con orgoglio. “È ciò che sono.”
Il cuore e l’ambizione di Wonderful Wonderful non danno segnali che possa trattarsi della Fine. Ma chi ha paura che possa esserlo dovrebbe forse trovare conforto nella filosofia molto da Las Vegas che Flowers ha riguardo al gruppo. “Crescendo a Las Vegas, era normale che edifici che conoscevamo fossero buttati giù,” dice. “E poi al loro posto ci hanno costruito edifici ancora più grandi e belli. Credo che questo sia parte del nostro DNA come band.”
Qualcosa di più grande e bello. Come direbbe il padre di Flowers, ‘The Killers aren’t going anywheres’ (‘I Killers non vanno da nessuna parte’, ndt.).
I meravigliosi meravigliosi
Gli ingredienti per il quinto album dei Killers dalla A alla Z
Archie
Il boxer di Vannucci, che si sente ringhiare in The Calling. “Stavo giocando con lui in studio. Lo abbiamo registrato velocemente e poi abbiamo abbassato il volume in modo che sembrasse un leone.”
Bono
L’amico irlandese di Flowers sensibile alla luce, che ha inavvertitamente battezzato Have All The Songs Been Written?. Bono ha anche suggerito ai Killers di usare Jacknife Lee, produttore degli U2, per l’album.
Caravaggio
Pittore barocco italiano e mal perdente alla pallacorda. Stoermer stava studiando il suo dipinto The Calling of St Matthew (Vocazione di San Matteo) per un corso online di storia dell’arte, e lo ha mostrato a Flowers, ispirando così The Calling.
Eno, Brian
Arci-Testa d’Uovo del Pop la sua An ending (Ascent), dalla colonna sonora del documentario del 1989 sulle missioni Apollo, intitolato For All Mankind, ha offerto la partitura per Some Kind of Love: una cover di Eno, con la sua benedizione, piuttosto che una collaborazione vera e propria stile Coldplay.
Harrelson, Woody
Stella di Natural Born Killers e della sitcom anni ’80 preferita di Flowers, Cheers (in Italia Cin Cin, .ndt.), si sente leggere dal Vangelo di Matteo all’inizio di The Calling. Harrelson ha recitato il suo cameo dalle Hawaii con il suo iPhone.
Knopfler, Mark
O “Mark ‘Orribile Bandana’ Knopfler” come ufficialmente etichettato da Smash Hits, la bibbia pop degli anni ’80. Il sultano dei Dire Straits suona la sua stratocaster in Have All The Songs Been Written?. I Killers hanno in passato coverizzato Romeo and Juliet dei Dire Straits per Sawdust, il loro album di B-side e rarità del 2007.
Kool & The Gang
Anche se The Man è più in debito con Fame, Fashion or Golden Years di Bowie, la sua brillantezza disco viene da Spirit of the Boogie, il successo R&B di Kool & The Gang del 1975. Vannucci, nel frattempo, ha basato la sua batteria su Peek-A-Boo di Siouxsie & The Banshees’.
McCartney, Paul
Menzionato assieme a Bruce Springsteen in Out of My Mind, una canzone che parla del fallimento di Flowers nell’impressionare sua moglie con una lista di nomi famosi. Lo scorso Gennaio i Killers hanno suonato Helter Skelter con Macca durante una festa privata per Capodanno alle Bahamas.
Tedder, Ryan
Il compositore e produttore americano da milioni di album venduti, nonché persona di riferimento per nomi come Beyoncé, Adele e Ellie Goulding. Ha collaborato con i Killers nella canzone Life To Come.
Trump, Donald
Run for Cover proviene dalle sessioni per Day & Age, il terzo album del 2008, ma solo finendola nel 2017 Flowers ha potuto infilarci dentro un “Fake news!”, riferimento al nostro troll amante dell’apocalisse preferito di Twitter.
Tyson, Mike
Eponimo campione dei pesi massimi di Tyson Vs Douglas, ispirata dalla sua sconfitta per il titolo nel 1990 ad opera di Buster Douglas. Il pugile Sonny Liston, morto a Las Vegas per una sospetta overdose di eroina nel 1970, spunta nel testo di Run for Cover.
Fonte—Q Magazine