Süeddeutsche Zeitung [26-09-2017]
Brandon Flowers, frontman dei Killers, ha dei dubbi. Su di sé, sugli Stati Uniti e sul rock da stadio. Una conversazione sull’essere e l’apparire. E sulla grande delusione americana.
Per molte persone Brandon Flowers è un pagliaccio americano. Il bello che veste giacche scintillanti e viene dalla scintillante città di Las Vegas, che voleva suonare come un britannico (“Hot Fuss”, 2004) e ha poi scavato in profondità nel deserto della sua terra (“Sam’s Town”, 2006). Ha fatto diventare la sua band una delle rock band più grandi del ventunesimo secolo – con più di 20 milioni di album venduti e concerti in ogni posto abitato del pianeta. Dopo una pausa di cinque anni, verrà pubblicato il nuovo album in studio, “Wonderful Wonderful”, che è già un classico dei Killers: il circo del pathos è tornato in città, il carosello dei cliché si trasforma. Sono il migliore, canta Flowers nella canzone “The Man”, il migliore con un piano. Nel video, tuttavia, ci sono alcuni personaggi tipici americani che falliscono dopo un momento di felicità. Un buon argomento di conversazione con Brandon Flowers. Sull’apparire e l’essere, il sogno e la realtà e la grande illusione americana.
Signor Flowers, crede ancora nel sogno americano?
Hmmm, mi sembra che stia diventando sempre di più una fantasia. Si chiama sogno per un motivo. Ma in passato c’è stato un sogno che sarebbe potuto diventare realtà. Adesso è diverso. Avere un buon lavoro ed essere motivati non sono più sufficienti per comprare una casa e mantenere la famiglia.
Per molte persone gli Stati Uniti rappresentano ancora un sogno. Quanto di questi Stati Uniti esiste ancora? E quanto invece è un’illusione?
Hollywood ha fatto un buon lavoro (ride). No. Gli Stati Uniti sono un Paese molto grande, e l’Ovest è ancora un posto romantico, anche per me. Le montagne, il deserto. Ci sono ancora misteri e segreti, questo è vero per me ma anche per altre persone. Decidere cosa sia verità o illusione spetta ad ognuno in base alle proprie esperienze. E sulle carte che decidono il destino.
La società Americana sembra più divisa e insensibile che mai. O sei parte di una fazione o sei parte dell’altra. Una volta in un’intervista hai detto “Siamo neutrali” riguardo l’atteggiamento politico dei Killers. È possibile esserlo?
Come musicisti pop si cerca di essere neutrali. Ma è diventato molto più difficile negli ultimi tempi.
Vi definireste ancora neutrali adesso?
Non è per sventolare la bandiera dei Democratici, ma, ovviamente, sono dalla parte delle persone frustrate e infastidite dal Presidente che è stato eletto.
Quando siete venuti per la prima volta in Europa più di dieci anni fa, il Presidente era George W. Bush, ed aveva appena portato il Paese in guerra contro l’Iraq. I Green Day cantavano “American Idiot” e in quel periodo prevaleva un sentimento anti americano nella cultura.
Ho visto alcune band in quel periodo, i White Stripes ad esempio, salire sul palco e scusarsi di essere americani. Ciò mi ha demoralizzato molto.
L’anno scorso, qualche giorno dopo l’elezione, ho visto i Lambchop. Kurt Wagner non si è scusato di essere americano, ma di Donald Trump.
Trump è senza dubbio molto più odiato rispetto a Bush.
Hai idea del perché l’atteggiamento anti-americano esista ancora oggi?
Trump rappresenta molte delle cose sbagliate nel nostro Paese. Ma credo fermamente che questo atteggiamento sarà presto sorpassato. Le persone stanno cambiando. Si può accedere a molte più informazioni. Stiamo entrando nel futuro. Donald Trump non è un simbolo del futuro. Lui rappresenta l’ultimo respiro di bruttezza che esiste in America.
Tu sei un mormone credente. Molti danno la colpa alla religione per questa bruttezza e per i problemi sociali del mondo. Brutto periodo per essere un uomo religioso?
Non trovo sia difficile essere religioso. Io sono Mormone e credente, discuto rispettosamente con le persone. Non mi infastidisce avere a che fare con atei, lo capisco. Magari pensi che sono pazzo perché credo in un Dio creatore, per me è altrettanto da pazzi pensare che viviamo su questa Terra, da qualche parte nell’universo, e voliamo su aerei e costruiamo città. Quindi no, non trovo difficile essere religioso, ma ho notato che ne parlo più spesso di quanto lo facevo in passato.
Hai vissuto molti anni a Las Vegas. La superficie scintillante e dietro la verità dura e cupa…
Come il sorriso di Tom Cruise!
Las Vegas è il simbolo del contrasto tra apparire ed essere. Che impatto ha su un uomo che cresce lì?
Per noi è stato normale. È stato solo quando siamo stati la prima volta in Regno Unito, in Europa o anche in Sud America, che abbiamo capito cosa la rende così diversa. Las Vegas ha due facce: l’angoscia, la meschinità, la tristezza e la criminalità sono il lato pornografico della città. Ma c’è anche l’estremo opposto – splendore, glamour, entusiasmo sono ossigeno che viene pompato nei casinò. I sogni e i desideri di avere successo.
Si riescono a percepire queste due facce nella vostra musica. Di recente hai detto, riguardo il nuovo album: “Non ne sarei così entusiasta se le canzoni non fossero così vere. C’è troppa musica falsa lì fuori.”
È tutto relativo. Cos’è autentico? Cos’è vero? So solo che anche io sono colpevole di suonare musica falsa. So cosa significa salire su un palco e vendere al pubblico una canzone a cui non tengo con tutto me stesso.
Quale, ad esempio?
È meglio se non lo dico. Devo stare attento, perché ci sono fan che vengono a vederci solo per quelle canzoni, e non voglio deluderli. Ma ce n’è qualcuna, e anche qualche frase a cui non credo più. Soprattutto per quanto riguarda i testi, li ho affrontati con più consapevolezza. Volevo che ogni frase contasse e non solo che facesse rima.
Si può vedere questo approccio personale specialmente in “Tyson vs. Douglas”. Parla di un incontro di boxe che hai visto da bambino. L’imbattuto Mike Tyson sconfitto dallo sfavorito Buster Douglas. Perché questo momento è stato così importante per te?
Ho voluto dare una spiegazione a questa sanzione semplicemente perché ci pensavo in continuazione. Non soltanto mentre lavoravo all’album. Il ricordo di questo incontro è sempre presente. Ho tre figli, e due di loro sono più o meno della stessa età che avevo io a quel tempo. La mia visione del mondo è cambiata quando l’invincibile e indomabile Mike Tyson è andato ko, e con lui la mia visione dell’uomo perfetto. Agli occhi dei miei figli io adesso sono come Mike Tyson – e non voglio deluderli.
I Killers sono uno dei gruppi rock più importanti dei nostri giorni. Ma siete sempre stati un gruppo indie. Può essere che adesso le band non possano più diventare grandi come succedeva in passato? Grandi come gli U2 o gli Oasis?
È un cambiamento strano e non ho una risposta alla domanda. Ma credo che sia inevitabile un risveglio di questa cultura musicale. Ma, sì, non ci sono adesso band arrivate al punto in cui erano arrivate altre band in passato. Il nostro entusiasmo per gli U2 non è mai stato supportato, così come i nostri obiettivi. Crediamo che una band possa essere grande e allo stesso tempo raffinata a diversa. Ma poi mi ricordo che i Coldplay sono grandi, e sono una band.
Concordo. Ma i Coldplay sono forse l’ultima band che possa raggiungere questa grandezza.
E per raggiungere questo risultato si sono dovuti adattare in modo estremo. Alcuni fan li hanno abbandonati. Alcune decisioni fatte dai membri dei Coldplay sono state molto coraggiose. Noi proviamo a rimanere fedeli a ciò che ci contraddistingue. Vediamo dove ci porterà.
Fonte—Süddeutsche Zeitung