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iNews [21-09-2017]

Quando è arrivato per lavorare al quinto album in studio dei Killers, Wonderful Wonderful, Brandon Flowers, il frontman di quella che è probabilmente la band più disfunzionale ancora funzionante d’America, si è trovato a che fare con qualcosa che non aveva mai incontrato prima: il blocco dello scrittore.

“Non riuscivo a trovare niente di significativo di cui scrivere,” dice. La sua attenzione era altrove, e a buon motivo: a casa a Las Vegas, sua moglie stava soffrendo di seri problemi di ansia e depressione.

“Continuavo a tornare su quell’argomento, ma era molto delicato. È stato un momento difficile ed emotivo per noi.”

Ogni mattina sedeva al piano – un regalo da Sir Elton John, uno stretto amico di famiglia – sperando che gli desse ispirazione, e ha poi chiesto ad un altro amico rock star, Bono, di aiutarlo in quel periodo nero. Per il cantante degli U2, un uomo abituato a costruire ponti, mettere fine a guerre e debellare la sofferenza, era una domanda facile a cui rispondere. Ha semplicemente chiesto a Flowers se pensasse che fossero già state scritte tutte le canzoni possibili.

Flowers ha preso talmente in considerazione l’idea da scrivere prontamente una canzone a riguardo, e l’ha intitolata “Have All the Songs Been Written?”. Con l’erogazione della magia di Bono, la canzone si è sviluppata attorno ad un fulcro che rappresenta l’unica cosa importante della sua vita: sua moglie Tana, e i problemi che stava cercando di risolvere. “Can’t do this alone/We need you at home,” canta in “Some Kind of Love” come risposta ad un episodio di depressione acuta. Quando parliamo di questa canzone, gli vengono le lacrime agli occhi. “Scusami, è piuttosto emotiva per me.”

Flowers è un 36enne comicamente ben assemblato, così tanto che anche 10 ore di aereo non riescono a danneggiare il suo aspetto. Arriva alla nostra intervista sicuramente un po’ strapazzato, con i Jeans spiegazzati segno evidente del viaggio, i capelli spettinati e senza essersi fatto la barba, ma l’effetto cumulativo lo rende ancora di più un leggendario americano dalla mascella scolpita.

Arriva da solo. I Killers sono, o almeno lo erano fino a poco tempo fa, un quartetto, ma di recente si sono spaccati. Adesso ci sono solo due membri a tempo pieno: Flowers e il batterista Ronnie Vannucci. Mark Stoermer, il bassista distaccato con la sua aria assorta, ha deciso di abbandonare gli impegni del tour e studiare per una laurea in Arte, e anche il chitarrista Dave Keuning, un uomo che parlava raramente quando si poteva rimanere in silenzio, non andrà in tour.

“Abbiamo sempre fatto fatica,” Flowers dice con aria di rassegnazione parlando delle dinamiche della band. “Abbiamo fatto fatica in tour, in studio. Niente è mai andato liscio. A quest’ora dovremmo essere all’ottavo album, o nono, ma le cose si sono sempre complicate. Vogliamo cose diverse, credo.” Rimangono amici? Ride ironicamente. “Non ci troviamo spesso da Chili [catena Americana di ristoranti], mettiamola così.”

Il repentino successo mondiale dei Killers è stato un sogno diventato realtà per Flowers, un devoto Mormone cresciuto seguendo una dieta del meglio del pop britannico degli anni ‘80 – The Smiths, Pet Shop Boys, New Order – e lo ha incanalato nel debutto della band del 2004, Hot Fuss. Le prime canzoni come “Mr Brightside” e “All These Things That I’ve Done” li hanno presto fiondati verso gli stadi.

Con Sam’s Town del 2006, hanno deliberatamente cambiato marcia in favore del rock, interpretando Bruce Springsteen. Flowers si è fatto crescere i baffi e ha indossato vestiti di pelle. Questo osservante Mormone stava a quel punto impegnandosi sul serio per diventare una rock star emergente.

“Già bevevo,” dice, “ma la situazione è andata avanti.” Intende droghe? “Um, non ne parlerò in dettaglio, ma ho sentito la responsabilità, quasi – sai, di vestire i panni che stavo cercando di indossare. Ma la situazione non è mai stata fuori controllo. Ho iniziato a notare che stavo prendendo decisioni pessime, e facendo cose che non avrebbero portato a niente di buono.”

E così si è ripulito e ha cercato un altro tipo di dipendenza, nello specifico quella per la salute fisica. Adesso fa esercizi cinque giorni alla settimana, mi confessa. “È difficile non fare sette, ma dicono che bisogna lasciare al proprio corpo il tempo di recuperare. Crea abbastanza dipendenza però.”

Sono seguiti altri due album dei Killers – Day & Age del 2008 e Battle Born del 2012 – e Flowers ha sentito il bisogno di pubblicare un paio di album solisti quando è diventato chiaro che il suo incrollabile impegno a lavorare non era necessariamente condiviso dal resto della band. “Siamo persone diverse, io sono una persona molto polemica,” dice. “Ma ci sto lavorando.”

Quando gli chiedo come, risponde, senza esitazione: terapia. Ha fatto incontri di terapia, e poi ha incoraggiato la sua band a seguirlo. “L’abbiamo fatto un po’ di volte, ma anche in quei casi, non tutti sono venuti, e quando lo facevano, non tutti parlavano. Non era sempre una situazione piacevole…” Eppure ha funzionato. Senza terapia, Wonderful Wonderful non esisterebbe.

Questo ultimo album, anche se pieno della tipica vitalità dei Killers, è sicuramente il loro più intimo, a causa della direzione che hanno preso i testi di Flowers. I riferimenti alla malattia di sua moglie e la guarigione in corso possono anche essere ambigui, ma sono una bomba. “And I shall give thee great cause to rejoice,” canta quasi in modo biblico nella canzone che dà il titolo all’album. “Be of good cheer/Mine arm is reached out, I am here/I’ll crush every doubt/And every fear.”

Spiega che sua moglie stava soffrendo di un tipo estremo di disordine post traumatico da stress, DPTS complesso, la conseguenza di molteplici eventi traumatici nei primi anni di vita. “C’è sempre stato qualcosa. Anche se lei aveva sempre una scintilla negli occhi – potrebbe illuminare una stanza – c’era sempre una sorta di tristezza, di pesantezza.”

La tristezza non si è manifestata completamente fino a metà 30 anni. Parlandone adesso, Flowers sembra distrutto. “È difficile spiegare molto di più se non parlano della sua famiglia,” dice. “Sono ancora vive, queste persone, queste persone che in pratica sono i colpevoli. Non vogliamo che si facciano sentire di nuovo, o che compaiano di nuovo all’improvviso.”

Allora perché parlarne in una canzone? Beh, deduce, lo ha fatto come parte di un processo terapeutico, sia per lei sia per lui. Tana è in terapia adesso, dice, e sotto medicine. Fa capire che sta migliorando, e gli occhi gli si riempiono di nuovo di lacrime. “Abbiamo avuto dei bei problemi in certi momenti, cercando di capire cosa stava succedendo, quale fosse il mio ruolo, e nel frattempo cercavamo di prenderci cura l’uno dell’altra e dei nostri tre figli…”

Come parte del loro processo di guarigione, la famiglia ha lasciato Las Vegas (“troppi brutti ricordi”) per lo Utah, quartier generale dei Mormoni, e anni luce distante da dove ci si aspetta che si stabiliscano le rock star. “Non ho mai voluto essere una celebrità,” fa notare.

Ma vuole rimanere un cantante e, idealmente, il cantante dei Killers. “Ma se davvero ci fermeremo, se si scioglieremo, non credo riuscirei a fermarmi. È una cosa che ho in me, una fame. Sono ancora affamato.”

FonteiNews