British GQ [10-2017]
Il figlio della Città del Peccato parla della compagnia del rock e di quello che è successo a Las Vegas
Se, come me, eravate appena ventenni durante gli inizi dei noughties (gli anni 2000, ndt.) (ah, odio questo termine, fa sembrare il nome di un’intera decade come quello di una app di appuntamenti per commercialisti), vi ricorderete di aver sentito gli Strokes per la prima volta. Brandon Flowers, frontman dei Killers, ambasciatore della “Società delle Rock Star Educate”, di cui fanno parte anche Dave Grohl e Johnny Marr, si ricorda benissimo quel momento. Ha cambiato la musica della sua band – una band che ad ora ha venduto una quantità appetitosa di album nel mondo, 22 milioni ma in continuo aumento – e, di conseguenza, la traiettoria della sua vita per sempre.
“Servivo ai tavoli in questo carino ristorante francese vicino alla strip di Las Vegas,” Flowers ricorda mentre ci sediamo per un boccone al ristorante principale del Chess Club, un bar tranquillo e illuminato ad un tiro di schioppo dallo Shepherd Market, nel quartiere londinese di Mayfair. I Killers, in caso non siano mai stati uno dei vostri gruppi preferiti, sono famosi nativi di Las Vegas, si sono formati nel 2001 dopo che Flowers ha visto gli Oasis suonare all’Hard Rock Hotel. Era un periodo in cui gli Strokes stavano emergendo sulla scena musicale dopo aver studiato in scuole private, e Jack White non era ancora diventato “Zorro ciccione” (copyright di Noel Gallagher).
“C’era un Virgin Megastore – te li ricordi? – Di solito ci andavo in pausa lavoro e davo un occhio ai dischi. Nella sezione di quelli importati dal Regno Unito avevano l’EP The Modern Age degli Strokes. È lì che ho sentito quelle prime tre canzoni per la prima volta – ‘The Modern Age’, ‘Last Nite’ e ‘Barely Legal’.”
È stato come un’illuminazione sulla via di Damasco per il giovane rocker? “Mi ha demoralizzato, attònito. Poco dopo ho ascoltato l’album intero, Is This It. Abbiamo cestinato tutte le canzoni che avevamo fatto fin a quel punto tranne ‘Mr Brightside’. Niente andava abbastanza bene. Gli Strokes hanno alzato il livello per noi, per tutti.”
Una versione di questo aneddoto è raccontata anche da Lizzy Goodman nell’eccellente storia orale di quel fruttuoso periodo musicale, Meet Me In The Bathroom, un libro che mappa non solo la storia degli Strokes ma anche di cosa sia stato per band come The Killers, LCD Soundsystem, Kings Of Leon, Interpol e Yeah Yeah Yeahs iniziare a pubblicare musica all’ombra dell’11 Settembre, un periodo in cui la musica da chitarra era di nuovo alla moda.
Un capitolo in particolare si focalizza su cosa quei gruppi pensassero dei Killers, il cui album di debutto, Hot Fuss, fu pubblicato nel 2004. Secondo molti che in quel periodo barcollavano da palco ad afterparty a hall degli hotel, sembrava ovvio che Flowers e i suoi compagni di palco sarebbero diventati più famosi di chiunque altro. Lavoravano sodo; le loro canzoni erano più commerciali; sembrava piacesse loro la fama o quello che avrebbe potuto portare loro invece di quello che avrebbe potuto togliere. E in più erano anche meno ossessionati di fare i fighi.
“So di che capitolo parli,” annuisce Flowers, strizzando apparentemente l’occhio a come la Goodman abbia dissezionato quel periodo ormai passato. “Non era sicuramente ovvio per noi a quel tempo. Forse abbiamo accettato il nostro ruolo un po’ di più rispetto ad altre band, anche se abbiamo imparato molto da Julian [Casablancas] e gli altri.”
La differenza tra The Killers e alcuni dei loro amici più libertini e rozzi era che riuscivano a mantenersi (più o meno) sulla retta via mentre tutti attorno a loro la stavano perdendo – soprattutto a causa della cocaina, alcuni a causa dell’eroina. Non ha avuto la tentazione di onorare i classici cliché da rockstar? “Certo! Ho passato una breve fase in cui ho pensato di dover essere chi in realtà non ero,” spiega. “Fortunatamente per me, non sono mai stato completamente attratto dalla situazione. Mi ricordo che, quando abbiamo iniziato, ho sentito la pressione di essere una ‘rock star’. Qualsiasi cosa significhi…”
Con la pubblicazione di un nuovo album, Wonderful Wonderful, la band andrà di nuovo in tour molto presto. Sicuramente, dopo un regno di 15 anni, Flowers non sarà più contento di suonare “Mr Brightside”, “Human” o “All These Things That I’ve Done”. “Penseresti così, no? Ma mi entusiasmo quando vedo che è il turno di ‘Mr Brightside’ in scaletta. È il singolo che ci ha dato la fama. Non sarebbe carino se iniziassimo a sdegnare il nostro successo più grande.”
Quindi, cosa si prospetta per il futuro? Dove vanno le band che riempiono stadi quando non ci sono più stadi da riempire? Per i Killers, la risposta è nel loro passato e nel posto che per loro è l’equivalente musicale di essere trasformati in una statua di bronzo: Las Vegas. “Concerti fissi lì? Succederà,” dice ridendo in modo complice. È chiaro che si tratti di una prospettiva già discussa con i suoi compagni di band. “Non siamo ancora pronti per un lungo e dorato addio.”
Fonte—GQ
N.B. Non sono state tradotte delle parti che descrivevano il ristorante in cui si è tenuta l’intervista perché esulava dagli aspetti riguardanti i Killers.