Skip to main content

OOR [08-2020]

Puoi allontanare l’uomo da Las Vegas, ma non puoi allontanare Las Vegas dall’uomo. Questa affermazione aveva chiuso il nostro precedente incontro con Brandon Flowers nel 2017, anno in cui aveva appena messo gli ultimi tocchi a Wonderful Wonderful, l’album più personale dei Killers. Tre anni più tardi, il successore di quell’album è pronto, e Flowers si ritrova in un mondo molto diverso: si è trasferito nello Utah, ha visto la realizzazione del sesto album senza il chitarrista Dave Keuning (ma con una selezione di ospiti come Lindsey Buckingham, Weyes Blood e Adam Granduciel) e poi, quando il porto era già in vista è andato alla deriva a causa della crisi del coronavirus. Il titolo già annunciato, Imploding The Mirage, ha assunto un significato totalmente nuovo: con le luci spente della Strip di Las Vegas, all’improvviso il tracollo del paradiso del gioco d’azzardo non è sembrato più un pensiero così irreale. Ma i colossi sono ancora lì e anche l’album sta per arrivare. OOR chiacchiera via telefono con Brandon Flowers per avere una spiegazione esauriente.

Com’è la vita a Park City, Utah?
Per ora tutto apposto. Mi sento bene. Ormai siamo qui da tre anni. Ci ho messo un po’ per abituarmi, dopo aver vissuto a Las Vegas tutta la mia vita da adulto. È l’estremo opposto quanto a condizioni di vita. Las Vegas è… beh, lo sai. A Park City manca quell’eterno bagliore dei neon, il lamento e il tintinnio delle slot machine. Qui l’atmosfera è molto tranquilla. Adesso che mi sento a casa, posso godermela. In realtà questa regione non mi è totalmente sconosciuta, ho passato buona parte della mia infanzia nello Utah. Il paese in cui sono cresciuto è a circa un’ora e mezzo a sud di qui. Ma andare via da Las Vegas è stato un sacrificio. Me ne sono andato scalciando e urlando.

Quando abbiamo concluso l’intervista nel 2017, non ti eri ancora trasferito. La tesi allora era: puoi allontanare l’uomo da Las Vegas, ma non puoi allontanare Las Vegas dall’uomo…
Haha, no, è ovvio. Vegas è radicata nel mio cuore e nella mia mente. D’altro canto, sono sempre pronto a nuove sfide. Questo cambiamento è stato come un’avventura, e lo è ancora. C’è un cuore del selvaggio ovest che batte dentro di me. Ha il ticchettio di una slot machine.

Riesci a vedere Las Vegas da una prospettiva diversa adesso che sei lontano? Per chi non ci vive rimane comunque un posto incredibile.
La vedo ancora tutta rose e fiori, devo ammetterlo. Ma la visione è diventata più chiara. Semplicemente in passato non volevo vederne le insidie. È stato solo quando ho scoperto la Las Vegas totalmente diversa in cui viveva mia moglie, un posto buio pieno di cicatrici, che le cose sono cambiate. Adesso la vedo al suo meglio, tutta la mia famiglia sta meglio in Utah. Adesso, quando guardo i miei tre figli felici, genuini, penso che sì, sono troppo puri e dolci per la Città del Peccato. Forse lo sono anche io. Un pochino.

Wonderful Wonderful si era già focalizzato sulla tua famiglia, specialmente su tua moglie, che tu volevi proteggere e salvare. Possiamo considerare Imploding the Mirage come un sequel?
Questi due album possono essere descritti come una coppia, sì. Anche questo è un album molto personale, che segue il percorso già preso dal precedente. La strada da Las Vegas allo Utah, per essere precisi. Ma anche quella dal me giovane al me attuale. Ho lasciato la mia vita passata nella città. La mia giovinezza, se vogliamo dire. Sto per raggiungere i quaranta e sono un padre. E anche se i miei figli mi fanno sentire giovane sotto molti punti di vista, l’impertinenza che mi caratterizzava da giovane è diventata un’ombra del passato. Come una sorta di miraggio. Non sono più il figlio, sono il padre e sono responsabile della mia famiglia, una valore a cui tengo molto. Ma alla fine era il passato di mia moglie che doveva essere distrutto, la sua Las Vegas doveva sparire. Io guidavo per una città piena di ricordi fantastici, lei vedeva un’infanzia piena di traumi e dolore. Soffriva di depressione e disturbo da stress post traumatico. Per aiutarla al meglio, il miraggio doveva cadere. E ci siamo riusciti, andando a Park City. Mi manca la mia città, ma non abbastanza da mettere a repentaglio la felicità di mia moglie e il futuro dei miei figli. Tutto questo è diventato il filo conduttore dell’album.

Il tono dell’album è sorprendentemente sereno, disinvolto, pieno di sintetizzatori e canzoni ritmate. I testi irradiano una sorta di conforto. Ad esempio, in My God canti “The weight has been lifted” (“È stato tolto un peso”, ndt.).
Quella è anche la frase chiave dell’album! Quando ho scritto le canzoni, sapevo di cosa avrebbero dovuto parlare, ma c’era un peso che si faceva sentire. Nel frattempo ho studiato un po’ Sting, uno scrittore fantastico, e ho letto che si fa sempre un giro quando ha un blocco. Quando stavo lavorando a My God, ho pensato: sai cosa, provaci anche tu, fatti un camminata. La cosa bellissima di Park City è che non ti trovi subito contro un muro di polvere e calore, ma sei in meravigliosi spazi aperti. Così sono andato a farmi un giro. Pensando… di cosa parla questa canzone? Di cosa parla tutto l’album? Mi ci sono volute diverse spedizioni prima di saperlo: è stato tolto un peso! Quella frase è diventata il fondamento dell’album. Potevo costruirci attorno qualsiasi cosa: il senso di conforto che già sentivo perché avevamo superato la tempesta, mi sono tuffato anche io, e la mia famiglia adora stare qui in Utah. Anche i punti focali hanno trovato il loro posto tutto attorno. È per questo che ascolti un album sereno, perché riflette quello che sento. Las Vegas è il posto più luminoso della terra, ma quella facciata, il lusso, distraggono dal peccato che si nasconde dietro. Mia moglie viveva in quel posto scuro e cattivo di Las Vegas, e doveva andarsene. E così, ironicamente, siamo passati dal buio alla luce. O dalla luce finta a quella vera.

Sulla copertina si può letteralmente vederlo: una coppia che passa da una nuvola scura a una chiara. È un quadro già esistente?
Dance Of The Wind And Storm di Thomas Blackshear. Mi imbarazzo un po’ a dirlo, ma ultimamente mi sono interessato un po’ all’arte visuale. Dal nulla, a quanto pare. Anche se non è una coincidenza che si tratti in tutti i casi di ambientazioni desertiche, visto che ho lasciato il deserto. Ho lavori di Maynard Dixon, che è stato uno dei primi seri artisti del deserto all’inizio del secolo scorso. James Swinnerton, un po’ più tardi, sono geloso del suo nomignolo: Decano del Deserto. Poi c’è Ed Mell, che negli anni ottanta dipingeva paesaggi con qualche tocco personale. E adesso Glenn Dean è quello che dipinge ancora nello spirito di Maynard Dixon. In questo modo posso ancora attorniarmi di quel deserto, che non mi abbandonerà mai nonostante tutto. Blackshear, responsabile della copertina, non è neanche uno dei miei preferiti, ma questo dipinto mi ha catturato subito perché impersonava esattamente ciò che stavo facendo. L’ho stampato e appeso in studio. Quando mi bloccavo di nuovo, guardavo l’immagine e potevo continuare. Mi ha aiutato moltissimo, una canzone come Running Towards a Place non sarebbe mai nata senza, e il suo spirito pervade tutto il testo. A volte ho come avuto la sensazione che il quadro emettesse dei suoni, avesse quella sorta di potere… gradualmente è diventato una sorta di membro della band.

Parlando di membri della band: c’è stata un’altra defezione?
Beh, no, in realtà no. Ufficialmente i Killers sono ancora quattro, anche se Dave Keuning non è in questo album. È ancora un Killer, per quanto ci concerne, ma vuole focalizzarsi su altre cose. La decisione spetta a lui, la porta è sempre aperta. Mark Stoermer è stato presente, per quanto volesse e potesse. È libero di farlo, supportiamo la sua decisione di stare un po’ in disparte [il bassista ha subito un danno all’udito e da allora si è ritirato dalla scena dal vivo]. Quando è stato chiaro che Dave non avrebbe partecipato stavolta, dapprima abbiamo cercato di riempire il buco, anche se non sembrava giusto. Non è una coincidenza il fatto che sia pieno di sintetizzatori. Shawn Everett e Jonathan Rado [Foxygen] si sono uniti alla squadra come produttori e se serviva potevamo contare su persone conosciute come Lindsey Buckingham, che ha suonato l’assolo di chitarra in Caution. Quando hai un’occasione del genere? Quindi non abbiamo mascherato più di tanto l’assenza di Dave – non ha senso, tutti lo sanno e la sentono – ma l’abbiamo sfruttata un po’. Una volta che torneremo in tour sarà la stessa situazione di quello precedente: me, Ronnie [Vannucci Jr., batterista], i nostri ausiliari regolari e Mark per occasioni speciali. Inoltre, auguro a Dave il meglio e sarà sempre il benvenuto. La cosa più importante è che lui lo voglia. E noi volevamo continuare, e così abbiamo fatto.

Avete lavorato in Utah, a Las Vegas e a Los Angeles stavolta. Quanto è importante l’ambiente per la musica dei Killers?
Essenziale. I ricordi sono importantissimi, si può attingere da essi, ma niente batte l’influenza diretta del posto in cui ti trovi. E io sono molto suscettibile a quello che vedo con i miei occhi. Qui in Utah sono la natura e le montagne. Esattamente le stesse montagne che avevo visto a dodici anni, quando il miracolo della musica pop si è rivelato a me. Questa è anche la motivazione della presenza dei molti sintetizzatori e del sound pop, sento gli anni ottanta e i sogni dell’Inghilterra che gorgogliano in me quando guardo qui attorno. Las Vegas non può essere paragonata a niente. Sono un ragazzo del deserto del Mojave, voglio catturare e rappresentare il deserto. Pare che sia impossibile, ma la ricerca è sufficiente per me. Canzoni come Human e Read My Mind nascono senza dubbio da lì, dall’eterna lotta dell’uomo contro gli elementi. Los Angeles è una storia diversa. Quando sei lì senti le dolci note di Jackson Browne e gli Eagles e i Fleetwood Mac che graziano le onde radio. Se poi un giorno Lindsay Buckingham passeggia da quelle parti… dove altro potrebbe succedere se non a Los Angeles? Quindi sì, l’ambiente è importanti sotto tutti i punti di vista.

Cosa hai imparato dalla creazione di Imploding The Mirage?
Ho sempre sentito di dover scrivere di sensazioni personali, ma avevo paura. Ciò è cambiato con l’album precedente. Adesso so che l’approccio personale è quello giusto. È una sensazione bellissima creare qualcosa con così tanto significato. Viene direttamente dal mio cuore e segna la direzione della mia vita. Questo è ciò che è successo con gli ultimi due album, e ciò influenza anche il mio modo di scrivere e pensare in generale. Ho sempre voluto intrattenere, adesso ho scavato uno strato in più e ha anche un significato. Sono andato alla ricerca di qualcosa, e l’ho trovata. E così, ho il sospetto che se continuo a cercare troverò altro. Non ho ancora 40 anni, molti dei miei eroi stanno per raggiungere il doppio di quell’età e ancora vanno avanti. Mi da molta prospettiva. L’avventura è appena iniziata.

L’anno scoro avete pubblicato Land Of The Free, una esplicita canzone di protesta. Beh, in canzoni più vecchie come All These Things That I’ve Done si sente già una certa presa di coscienza, ma non eravamo abituati al fatto che i Killers lo facessero in modo così diretto.
Non escludo che non ci potranno essere altre canzoni simili in futuro. È una questione di osare. Mi guardo sempre attorno. L’ho sempre fatto e ho incluso ciò che vedevo di buono nell’America, anche quando il paese non era in buono stato. Credo che Land Of The Free nasca dal trovarmi in un’ottima posizione da un lato e dal provare un’incredibile frustrazione dall’altro. Come possono esserci diseguaglianza e brutalità della polizia in un Paese così bello? Non mi sono mai considerato abbastanza importante da denunciare questa situazione. È un compito per gli Springsteen, i Dylan, i Bono, che sono proprio bravi a farlo. Neil Young, i Clash. E ci ritornavo sempre… Ma adesso sono andato fino in fondo, forse motivato da queste icone così schiette. Ho imparato da quella musica, che dà forma ai miei comportamenti e al mio modo di vedere il mondo. Quindi quando vedo l’ingiustizia, le cose brutte dell’America … Forse anche in questo caso si tratta di vedere le cose chiaramente e togliersi gli occhiali che fanno vedere tutto rose e fiori. Ho avuto una sensazione di disperazione e ho deciso di provarci. Dopo l’assassinio di George Floyd ho anche aggiustato il testo. Adesso c’è una versione 2020 di Land Of The Free. Per quanto quel fatto sia sbagliato, sono in un certo senso contento di aver osato parlare dei problemi attuali.

Oh beh, i problemi attuali… A che punto eravate con l’album quando è arrivato il Covid-19?
Circa all’80%, eravamo in fase di mixaggio, le canzoni erano già finite. Ci ha preso di sorpresa. Da un giorno all’altro non siamo più stati in grado di lavorare con il team, non potevamo più stare assieme in studio. E quando è diventato chiaro che ci avremmo messo un po’, altri problemi più pratici sono arrivati: come lo avremmo promosso se non potevamo letteralmente venderlo? Il tour è stato accantonato. E poi c’è da considerare il prodotto fisico: la produzione dei CD, della copertina e dei vinili non è una necessità di carattere pubblico, quindi che succede sei quei processi vengono bloccati? È diventato subito chiaro che non avremmo potuto mantenere la data di pubblicazione originaria. Da quel momento in poi dovevamo solo monitorare la situazione e decidere appena possibile. Quando le misure più stringenti sono state tolte, abbiamo subito preso in mano la situazione e sembra che tutto andrà per il verso giusto prima della grande valanga autunnale. Fortunatamente.

Com’è stata la tua esperienza della quarantena? Hai fatto qualcosa di nuovo, come il resto del mondo?
No, niente di nuovo. Tutto attorno a me sento di gente che ha scoperto nuovi hobby o ha portato avanti quelli che già aveva. Ma io ci lavoro sempre ai miei. Appena si è allentata la pressione, il tempo si è fermato, una certa pigrizia ha preso il sopravvento. O pace, se vuoi. In quella pace ho trovato il tempo per impegnarmi a scrivere. Ho lavorato alla mia tecnica, nella mia stanza della scrittura, alla mia tastiera. Quando finisco un album sono ancora nel pieno del processo, solo che devo partire per la promozione e il tour, che mi divorano, e poi dopo due o tre anni ricomincio. Adesso ho continuato il processo a ho fatto qualche progresso. Per quanto la situazione fosse seria, per me si è rivelato un periodo utile ad affinare le mie abilità. Ho scritto molte canzoni, ottimo materiale, una volta che l’album è stato chiuso. Ciò ha portato all’idea che avrei potuto fare qualcosa per il tour che segue la pubblicazione dell’album… beh, posticipare è un’altra cosa… Amo andare in tour e mi manca tantissimo salire sul palco. Esibirmi è qualcosa di magico, è proprio una parte di me. Ma d’ora in poi vorrei distribuire l’impegno un po’ meglio, e lasciare che lo scrittore in me abbia più attenzione. Prima che decidessimo di continuare con l’album, avevo davvero raggiunto un picco creativo e la cosa mi faceva sentire bene. Era una cosa naturale continuare a scrivere. Quindi no, niente nuove scoperte o hobby, anche se la situazione mi ha sicuramente regalato qualcosa.

Avresti mai pensato che milioni di persone si sarebbero lavate le mani cantando Mr Brightside?
No, è stato uno sviluppo bizzarro della situazione. Ad un certo punto ho ricevuto un video dall’Italia, dove le persone stavano cantando dai balconi. Qualche furbone ci ha aggiunto sopra l’audio live di un pubblico che cantava Mr. Brightside, abbiamo capito subito che era falso. Per adattarmi agli eventi ho deciso di fare un video lavandomi le mani mentre canto il coro di Mr. Brightside, che è lungo esattamente quanto serve secondo le prescrizioni. La cosa bella è che mia moglie aveva registrato il tutto, mentre di solito si tiene lontana dagli affari della band per quanto riguarda i social media. Avevamo una bella co-produzione. Ho pensato che fosse divertente, a prescindere dalla serietà della motivazione.

Che canzone o trucchetto usi quando ti lavi le mani?
Nessuna canzone. Ovviamente non sto tutto il tempo in casa a cantare Mr. Brightside. No, dico solo ‘Vegas, baby!‘ venti volte di seguito, e il tempo è giusto. Vegas, baby! Vegas, baby! Vegas, baby!

Tornando a Las Vegas: il titolo Imploding The Mirage ha all’improvviso assunto un significato completamente diverso. La Strip si è spenta e la crisi sembra profonda. L’idea di un mega casinò che crolla all’improvviso non è più così folle.
Certo. Ovviamente ce ne siamo resi conto anche noi. Nelle settimane in cui tutto era chiuso, ero a casa nello Utah. Continuavo a ricevere aggiornamenti e non erano positivi. È un villaggio turistico, tutto si basa sull’intrattenimento, e quei due settori sono crollati come una casa di carte. Bang, magia, solo che non si tratta di un giochetto, né di una illusione. Quasi tutti quelli che conosco in città sono stati ingannati, molti hanno perso il lavoro, alcuni anche le loro attività. Sono tornato al nostro studio appena ho potuto. Ero preparato al peggio, anche se non era poi così male. Non era una città fantasma. La maggior parte degli hotel e dei casinò era aperto di nuovo, c’era parecchia gente in giro, le piscine erano piene, c’erano degli schermi tra il banco e i giocatori, tutti indossavano mascherine. C’era vita in città. Las Vegas non è stata spazzata via dalla faccia della terra. Ma è spaventoso pensare quanto a lungo questa crisi avrà i suoi effetti, tutti temono che il peggio debba ancora arrivare. E considerando questo, all’improvviso non è totalmente impensabile che il Mirage, quel colosso luccicante nel mezzo della Strip, possa collassare. È ciò per cui sono bravi a Las Vegas, far esplodere le cose.

A quali implosioni leggendarie hai assistito nei tuoi anni a Las Vegas?
Pochissime. Ero appena tornato in città dallo Utah quando la grande ondata di crolli di vecchi edifici leggendari è arrivata nella seconda metà degli anni ’90. Mi ricordo di una implosione, ma come si chiamava… Era una torre con una navicella spaziale in cima, quando ero piccolo a volte abbiamo cenato lì, bella esperienza. The Landmark! Si, ecco qual era. Sono sempre triste quando crolla un edificio come quello. Succede sempre con l’intenzione di creare qualcosa di nuovo. Più alto! Migliore! Più bello! Ma in realtà adesso ci sono distese desertiche dove quei vecchi casinò sorgevano una volta. Parcheggi. La volontà di evolversi è una cosa, ma cosa succede se non ci riesci? Diventa tutto molto più tragico. Una parte di storia scompare nella polvere. Non si può tornare indietro.

Il testo della canzone omonima dell’album cita un “timid Rockwellian boy” (“timido ragazzo alla Rockwell”, ndt.) che ha appena conosciuto la sua futura moglie. Descrivimi com’è quel ragazzino adesso nel 2020?
Quel ragazzino di allora è adesso un forte uomo alla Rockwell, haha!

Che cosa ne pensa tua moglie di tutta questa attenzione? La maggior parte delle persone arrossisce anche solo quando si canta loro ‘Tanti Auguri’, lei adesso ha un altro album dei Killers in regalo…
Oh, hai ragione. Sono sicuramente questioni molto personali e anche pesanti. A volte si imbarazza, ed è per questo che preferisce stare lontana dagli affari della band. Ma ci vede anche qualcosa di bello, cioè il fatto che altre persone si riconoscono nella sua situazione e imparano da essa. Ragazze e ragazzi che soffrono di depressione e sanno di non essere da soli. Imploding The Mirage mostra che c’è la luce alla fine del tunnel, anche se vieni dal posto più luminoso sulla terra. E una volta che hai precorso il tunnel, non sei ancora arrivato alla fine, ma sei ancora all’inizio. Ti trasformi, non finisci mai. Vedi la tua famiglia crescere, la tua vita continua ed è piena di speranza, ma soprattutto ha valore. Pe quanto lei possa vergognarsi… Haha!

Dove una volta sorgeva il tuo miraggio, adesso c’è qualcosa di più grande, migliore e più bello?
Assolutamente. L’infelicità è saltata in aria. La nuvola di polvere si è posata. E adesso c’è un posto così grande… che il deserto può essere appeso al muro in tutto il suo splendore.

Domanda finale: una piccola tradizione. Da quando hai scritto Sam’s Town dopo aver ascoltato Born To Run, ti abbiamo chiesto qual è la tua ultima scoperta ascoltando la radio in macchina. Qual è stato il tuo ultimo momento magico in strada?
Sapevo che me lo avreste chiesto. Qui in Utah c’è la radio di un college che suona le cose più assurde. Canzoni mai sentite prima, che mi fanno accostare la macchina per cercare il testo su google. Di recente ho sentito delle voci familiari in una canzone sconosciuta. Erano gli Highwaymen: Kris Kristofferson, Willie Nelson, Waylon Jennings e Johnny Cash. Sapevo che un tempo avevano creato un gruppo, la canzone mi ha proprio colpito. Si chiamava Silver Stallions. Ero lì fermo al lato della strada e ho pensato: La adoro! E poi ho ripreso a guidare, sapendo che la musica pop è la miglior cosa che possa succedere a ogni ora del giorno.

Fonte—OOR [immagini / trascrizione]