Forbes [08-08-2021]
Potrei, e un giorno lo farò, riempire un libro su come i musicisti che non sono potuti andare in tour abbiano cambiato il loro stile, modo di pensare e approccio durante la pandemia da COVID. Per alcuni questo periodo è stato di ferie, per altri da passare con la famiglia, per altri tempo di creare a profusione. Brandon Flowers dei Killers è tornato indietro nel tempo.
Dopo la cancellazione del tour di Imploding the Mirage, in programma nel 2020, Flowers ha iniziato a scrivere un nuovo album basandosi sulle sue esperienze di adolescente nella cittadina di Nephi, in Utah. E, come spiega, una volta tornato a Nephi, non è riuscito ad uscire dalla cittadina e da quel tempo.
Il risultato è il magistrale Pressure Machine, l’album più personale, introspettivo e diverso dal punto di vista sonoro che i Killers abbiano mai fatto. Alimentato nei testi da dolore, vulnerabilità, alienazione e ricordi, e nella musica da chitarre pedal steel, armonica e dagli ottimi anche se datati suoni metallici alla Hank Williams, Pressure Machine è un affascinante cambio di direzione per la band.
Ho parlato via Zoom con Flowers e il batterista Ronnie Vannucci Jr. sulla nuova musica, come la suoneranno dal vivo e i riferimenti letterari che permeano questo album.
L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato di persona al Sunset Marquis, ma sembra che non sarà più così.
Ronnie: Beh, è molto più facile così. Probabilmente adesso neanche indossi i pantaloni, e neanche noi (ride). La comodità di potersi spostare di stanza in stanza, è molto più conveniente. In realtà a me piace.
Dove vi trovate in questo momento?
Ronnie: Siamo a Provo, in Utah, in un bello studio di un nostro amico che si chiama June Audio. Abbiamo già lavorato qui ed è un ottimo punto di incontro.
Prima su Google ho cercato Dustland, la canzone che avete fatto con Bruce Springsteen, e la seconda opzione nei risultati della ricerca era, “Qual è il reddito di Bruce Springsteen?” e ieri sera io e un mio amico stavamo discutendo sul fatto che quando cerchi, “Possono quelli..” il primo risultato è, “Possono quelli tatuati andare in Paradiso?” Qual è la cosa più random e strana che avete visto sulle ricerche di Google?
Brandon (scoppiando a ridere): Ne ho vista una così proprio oggi, strano che lo chiedi. C’è questa citazione in un libro di Flannery O’Connor, quando il disadattato sta sfidando la sua famiglia e sta per sparare alla nonna. Si riferisce a Cristo e dice, “Cosa succederebbe se non resuscitasse i morti?” La stavo cercando perché c’è un riferimento ad essa in una delle nostre canzoni, intitolata Cody. Così ho scritto, “Cosa succederebbe se..” e la prima riposta era una cosa strana tipo, “Cosa succederebbe se non eiaculasse dentro di me?”
Ronnie (scoppiando a ridere): Ma è una aggregato di quello che la gente cerca? O una cosa sul momento?
Brandon: Una delle cose più ricercate.
Ronnie: Ci sono alcune ragazze che ovviamente non hanno avuto una giusta educazione sessuale.
C’è stato un momento di svolta che ti ha riportato a Nephi?
Brandon: Sì, in realtà si tratta di una canzone che non fa parte dell’album. Si intitola Boy. Stavo provando a sperimentare basandomi su come mi ero sentito, in qualche modo isolato e come un emarginato in questa cittadina quando avevo 14, 15 anni. Stranamente una volta che mi sono ritrovato mentalmente in quella situazione è stato difficile uscirne. E così tutte le canzoni hanno iniziato a focalizzarsi su quella situazione. È stato solo più tardi che abbiamo deciso di impegnarci a portare a termine quell’idea. Poi ho iniziato anche a pensare ad alcuni dei miei libri preferiti, cose come I Pascoli del Cielo di Steinbeck, che include varie storie brevi, tutte ambientate nella stessa valle. O I Racconti dell’Ohio di Sherwood Anderson, dove tutte le storie si svolgono a Winesburg. E così ho pensato, “Perché non fare un album con la stessa caratteristica?” ecco come è nato il tutto.
Questo tema si presta bene ai diversi suoni, magari anche un po’ alla Hank Williams, dell’album. Quanto vi siete divertiti a mescolare i suoni così?
Ronnie: Tantissimo, è una cosa che mi è piaciuta al 100%. È divertente che sia stato menzionato Steinbeck, perché proprio ieri ho finito di leggere Viaggio con Charley. Mi piacciono queste cose, avere un’idea precisa, ma mi piace anche fare le cose in modo diverso. È divertente per noi. Ci siamo ritrovati in questa situazione unica assieme al resto del pianeta Terra e abbiamo deciso di sfruttare al meglio e in modo produttivo questo tempo e questa opportunità e il fatto di vivere in una bolla. Brandon stava seguendo un percorso. Mi ricordo di aver ricevuto un messaggio da lui, “è un po’ strano,” o una cosa simile, “Lo seguiresti con me?” Io ho risposto, “Certo, al 100%.” Conosco Nephi, ci passiamo ogni volta che facciamo la strada da Las Vegas allo Utah o dalla California allo Utah. La conoscevo, mi era in qualche modo familiare. Non ci ho vissuto, per cui mi andava bene di avere quest’interpretazione musicale focalizzata su di essa.
Brandon, deve essere stata un’ottima cartina al tornasole per te, perché ovviamente, trattandosi di una tua esperienza personale, devi trasmettere queste sensazioni a persone che non sono mai state o non hanno mai sentito parlare di Nephi. Ci sono delle canzoni che credi riescano a rendere queste sensazioni universali?
Brandon: Credo di sì, penso che Terrible Thing sia sicuramente una di quelle perché è la nostra canzone più austera, più essenziale ma allo stesso tempo emotiva. Siamo diventati questa band da stadi e arene e quindi la gente si aspetta musica a tutto volume da noi, per cui c’è stata un po’ di trepidazione a fare qualcosa di così tranquillo e di dimensione ridotta. Ma c’è comunque potenza, la sentiamo ed è stato bello renderci conto che potevamo farlo e realizzare questa idea. Credo che molte persone possano identificarsi con la sensazione di emarginazione, di isolamento, indipendentemente da dove vivano. Anche gli strumenti, come il violino, la chitarra pedal steel, l’armonica, hanno davvero aiutato a creare l’atmosfera.
Credo che molti artisti, invecchiando, si rendano conto che non si deve per forza suonare a tutto volume per avere un impatto o potenza.
Brandon: È una cosa che abbiamo cercato di fare da molto tempo. Abbiamo sempre voluto provare a trovare un equilibrio, ma è difficile farlo (ridono). Ma siamo contenti di esserci riusciti con The Getting By, Terrible Thing, Desperate Thing e Pressure Machine. Penso che nonostante sia stata una cosa orribile, il COVID abbia anche avuto dei risvolti positivi per noi, perché siamo riusciti ad esplorare questo territorio per noi sconosciuto. È sempre stato qualcosa che avevamo dentro, semplicemente non avevamo ancora trovato il modo migliore per affrontarlo, per cui siamo molti contenti del risultato.
Ronnie: È come quando da bambini ci si trova sul bordo di uno scivolo altissimo e non vuoi buttarti. Poi arriva il piede del COVID che ti butta giù lungo lo scivolo da cui non volevi scendere (ride).
Ci saranno concerti essenziali in piccoli teatri allo stesso modo in cui, ad esempio, Springsteen ha suonato The Ghost Of Tom Joad al Wiltern qui a Los Angeles?
Ronnie: Credo che dovremmo. Tutti quelli con cui abbiamo fatto interviste nell’ultimo paio d’ore hanno menzionato questa cosa. “Come riuscirete a ricreare questa atmosfera nei tipici concerti dei Killers?” e stiamo ancora cercando di trovare una soluzione, ma credo che ad un certo punto dovremo suonare l’album dall’inizio alla fine al Wiltern o al Fonda o un posto simile, accompagnati da un chitarrista della pedal steel, violini e fiati e cose simili. Essere in grado di architettare l’arco emotivo di un grande concerto e riuscire a metterci dentro anche queste canzoni potrebbe comunque rivelarsi un compito divertente, magari costruendo un palco più piccolo dove suonarne qualcuna.
Gli U2 ci riescono benissimo. Ci sono artisti che prendete come punto di riferimento per mettere assieme canzoni più intime con quelle più potenti?
Ronnie: Gli U2 sono un importante punto di riferimento per noi, e il modo un cui riescono a farlo è incredibile. È bellissimo da vedere e speriamo di poter fare una cosa simile.
Ci sono altre vostre canzoni che pensate di poter reinventare adesso che avete questo nuovo sound a vostra disposizione?
Ronnie: Sì, abbiamo iniziato a farlo nel 2010. La prima volta che abbiamo suonato Human ad Abbey Road. Per noi, o almeno per me, è sempre stata una canzone da falò vestita da discoteca.
Brandon: L’abbiamo fatta alla Traveling Wilburys (Bob Dylan, Tom Petty, George Harrison, Roy Orbsion, Jeff Lynne).
Ronnie: Sì, l’abbiamo fatta in stile Wilburys attorno ad un falò. Ma continuiamo a farlo con altre canzoni, abbiamo suonato Mr. Brightside in modo diverso quando durante la quarantena abbiamo fatto qualche esibizione da casa. Ci adatteremo e proveremo qualche soluzione diversa, soprattutto per le canzoni che già suonano più intime.
Mi piace che abbiate menzionato i Traveling Wilburys perché non è un nome che si cita spesso. Chi farebbe parte della vostra versione dei Traveling Wilburys nel 2021?
Brandon: Gli altri da menzionare sono gli Highwaymen (Willie Nelson, Waylon Jennings , Johnny Cash, Kris Kristofferson), sono i due super gruppi migliori. Chi sarebbero i Traveling Wilburys? Non so se ci sia qualcuno di importante come i membri originari.
Ronnie: Dovrebbero essere persone con una certa carriera alle spalle. Qualcuno come Eddie Vedder, Dave Grohl e simili. Tutti quelli della nostra era hanno ancora 20 anni di carriera da macinare.
È interessante che tu dica che vi mancano 20 anni di carriera considerati tutti i successi che già avete ottenuto, e i concerti negli stadi.
Brandon: Per noi, come ha detto Ronnie, è un po’ rischioso sedersi sugli allori perché poi la musica potrebbe risentirne. Siamo sicuramente cauti da questo punto di vista, abbiamo ancora il fuoco dentro di noi per continuare.
Ci sono degli aspetti di questo album che non vedete l’ora di riprendere nella vostra musica futura?
Entrambi: Certo.
Ronnie: Credo che in ogni album troviamo delle vene rocciose che continuiamo a scalare per raggiungere la cima della montagna. Lo vedo anche da esterno, mi rendo conto del progresso che ha fatto Brandon con i testi e quanto meditativo sia diventato. Non scriverà mai più una Somebody Told Me. È arrivato in un posto molto più alto, non scenderà da quella montagna. Credo che si possa dire lo stesso di ogni parte di questa macchina chiamata The Killers. Speriamo di continuare a salire e trovare nuovi aspetti nascosti in questa scalata.
Ci sono cose emerse durante la scrittura dell’album che vi hanno sorpreso?
Brandon: Sì, la cosa a cui continuo pensare è il dolore che ho provato per una coppia che è stata travolta da un treno. Erano all’ultimo anno delle superiori quando io ero in terza media. Ovviamente se qualcuno avesse menzionato il fatto me lo sarei ricordato, ma non mi ero mai reso conto di non aver fatto i conti con l’impatto emotivo di quel fatto fino a che non ho messo i miei ricordi in canzone. Mi ha accompagnato per 25 anni, e quando mi sono aperto e l’ho cantato, è arrivata questa marea di emozioni che non pensavo esistere. Li conoscevo a malapena, ma la loro morte ha lasciato un segno sulla città e su di me.
Riesci a pensarci adesso e capire perché ha avuto questo impatto su di te?
Brandon: Perché ci eravamo trasferiti in quella cittadina per scappare dal crimine e pensavamo che tutto sarebbe stato irreprensibile, che una cosa simile non potesse succedere. Lei era una bellissima ragazza, lui faceva parte della squadra di football e avevano un figlio. La città è rimasta sconvolta. La sorella di lui era in terza media come me e l’ho vista affrontare il dolore, per cui è rimasto nei miei pensieri.
Ci sono canzoni di questo album che non vedete l’ora di suonare dal vivo per vedere come evolvono e cambiano in base alla reazione del pubblico?
Brandon: Credo che In the Car Outside possa essere accolta molto bene, così come Quiet Town.
Ronnie: Continuo a pensare che sarebbe bello riportare questo piccolo universo e avere gli intermezzi parlati anche dal vivo, portando con noi queste persone in tour.
Questo mi porta ad un’altra domanda. Che reazione avete avuto finora dalle persone di Nephi?
Brandon: Non sanno bene cosa pensare o che da che punto di vista la descriveremo, ma il punto di partenza è l’amore per questa cittadina. So cosa vuol dire essere un emarginato là e ci sono diversi sentimenti che permeano tutto l’album, per cui credo che piacerà loro.
Ronnie: Credo che sia la prima volta che qualcuno incentri un album su una piccola cittadina dello Utah. Gli abitanti sono un gruppo di persone molto unito, sono felici e la loro città è il loro piccolo universo. Spero che capiranno che ogni posto ha le sue dinamiche, ci sono aspetti belli e aspetti meno belli.
C’è una lunga storia artistica incentrata sulle persone emarginate, mi vengono in mente Gioventù Bruciata, Il Giovane Holden e Stand by Me. Qual è per voi l’opera artistica più bella sull’alienazione della gioventù?
Brandon: Io sono cresciuto con gli Smiths, e Morrissey era un maestro a scrivere di questi argomenti, quindi mi vengono in mente canzoni come Half a Person..anche I Goonies.
Ronnie: Io ero quello strano a scuola. Ho vissuto lontano da Las Vegas per due anni, dall’86 all’88, e quando sono tornato ero alle medie. Mi piaceva andare in skateboard e ascoltare musica punk ed ero diverso da tutti gli altri, mi picchiavano ogni giorno. Ero il un po’ l’emarginato, ma poi la gente ha scoperto che suonavo la batteria e sono rimasto un emarginato ma almeno mi picchiavano di meno, quindi questo argomento mi fa ricordare la mia giovinezza.
Fonte—Forbes