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The Observer [24-09-2006]

Un mormone praticante, il 25enne Brandon Flowers è sposato con un’insegnante delle elementari e spera di iniziare presto una famiglia. È anche l’energetico frontman di una delle band più in voga del mondo. Non è facile essere bilanciati. Craig McLean parla della resistenza alle tentazioni con il cantante dei The Killers.

Neil Tennant, uno dei Pet Shop Boys e perspicace analista della cultura pop, era eccitato. Ma era anche preoccupato. “Quando vedo qualcuno come Brandon Flowers, che ha la fame, e forse anche il talento e l’aspetto fisico, per essere una star, trovo che sia una cosa affascinante“, ha detto di recente Tennant a proposito del cantante dei The Killers. “Però sono anche preoccupato – e spero che lo leggerà – del fatto che si è fatto crescere la barba. È come se volesse dire, ‘Non sono pop. Significo più del pop’“.

Quando gli racconto questa cosa, Flowers è parecchio divertito. “Hah hah hah! Dai“, fischia mentre mastica un grassa bistecca in un locale Giapponese di Los Angeles. Cresciuto a Las Vegas e in un piccolo paesino dello Utah, un bambino grassoccio e mormone fino al midollo, Flowers sognava di fuggire. E un cambiamento. Era un anglofilo con un amore ardente per i New Order, gli Smiths e i Pet Shop Boys. Il testo che più significava per lui era da Being Boring di questi ultimi: ‘I never dreamt that I would get to be/The creature that I always meant to be‘.

In questi giorni Flowers è il cantante di una delle più grandi nuove band del mondo: i The Killers hanno venduto 5 milioni di copie del loro album disco-pop di debutto, Hot Fuss del 2004, e potrebbero benissimo sorpassare questa cifra con l’imponente secondo album Sam’s Town. È un esile 25enne con una corporatura da ragazzino. La maglietta dei Rolling Stones che indossa adesso a pranzo nella Sunset Boulevard, e che avrà ancora addosso domani pomeriggio a Las Vegas, gli calza a pennello.

È agitato di energia nervosa e sembra più uno studente sfigato che un eroe del rock. Nei due giorni in sua compagnia lo vedo soffrire a causa dei più piccoli dettagli. Fuori dal palco, i suoi compagni della band – lo scherzoso e basettato batterista Ronnie Vannucci; il capelluto mago della chitarra Dave Keuning; lo smilzo ed enigmatico (cioè astemio e tranquillo) bassista Mark Stoermer – hanno più carisma da rock’n’roll. Ma date un microfono e un palco a Flowers, di cinque anni più giovane rispetto agli altre tre, e le luci si accendono. Non si riesce più a togliergli gli occhi di dosso.

Ma il successo non gli ha portato soddisfazione e sicurezza. Ha una risata che lo fa sembrare come Jimmy Stewart in It’s a Wonderful Life. Quando gli viene chiesto della sua fede mormone, inciampa e cade. Sa benissimo di quanto non sia alla moda parlare della propria religione. Ma lui ne parla comunque. Non può farne a meno. È gentile e divertente, ma l’onestà e la sicurezza sono evidenti. E ciò potrebbero non renderlo la persona più confortevole con cui parlare. Con Brandon Flowers, tutti possono vedere com’è.
In particolare, come Tennant ha osservato, la sua fame per la luce dei riflettori. Non ci si può risposare sugli allori. Ispirato dai loquaci frontman che tanto amava da ragazzino, Flowers mantiene un raggelante disprezzo per quei (piccoli) gruppi che vede seguire le orme dei The Killers – e per quelli più grandi nel raggio d’azione della sua iper-ambiziosa band. Pensa che i membri dei Fall Out Boy, band Americana in veloce ascesa, siano degli stupidi; pensa che Thom Yorke dei Radiohead stia sprecando il suo talento: “Dovrebbe essere grato di aver avuto il dono di sapere scrivere canzoni pop – che dovrebbe tornare a scrivere!“. E anche adesso che conosce di persona Elton John, Morrissey e Bono – e ora che ha venduto abbastanza per il suo ego – questo discepolo della musica si preoccupa di cosa pensano i suoi eroi.

È un uomo furbo, Neil Tennant“, Flowers dice in modo contemplativo. “Io sento che siamo ancora assolutamente pop. E non ce ne siamo mai vergognati. Questa è solo una fase. Non sono mai riuscito a farmi crescere i baffi prima d’ora! Mi dispiace che a Neil non piacciano!“.

Sul palco e nelle fotografie, i The Killers stanno veramente mostrando un nuovo look molto rock. Se una volta venivano definiti ‘La miglior band Britannica americana’, con Sam’s Town sono tornati alle loro radici. L’album prende il nome da un casinò di Las Vegas costruito nel 1979 (preistorico se paragonato agli altri di Las Vegas) da un ‘vecchio bravo ragazzo’ di nome Sam Boyd. La foto della copertina, in bianco e nero ambientata nel deserto, è stata scattata da Anton Corbijn, il fotografo responsabile delle immagini iconiche di The Joshua Tree degli U2.

All’inizio volevano un’atmosfera chic e un po’ gitana“, dice Corbijn, che ha anche diretto il video di All These Things That I’ve Done da Hot Fuss e ha chiesto ai The Killers di fare una cover di Shadowplay dei Joy Division per il suo prossimo film biografico su Ian Curtis, intitolato Control. “Da queste discussioni (per la copertina) sono saltati fuori questi elementi di gloria passata“.

Gli smoking, le giacche color pastello, il trucco per gli occhi e vestiti alla Dior-incontra-il-New Romantic che avevano caratterizzato i The Killers rispetto alle altre band americane? Consegnati alla grande scatola di vestiti delle rock’n’roll star. Sono stati rimpiazzati da barbe e baffi, cravatte e gilet. Sul palco ci sono gli arbusti del deserto, raccolti da un roadie. Questa fase, come la definisce Flowers, ha portato i The Killers dal 1980 al 1880, da Hollywood a Deadwood.

Credo che abbiamo incluso un po’ più della nostra cultura in questo tour“, afferma Flowers. “È divertente – fa tutto parte della preparazione per il concerto. Proprio come quando c’era una versione più glamour dei The Killers“.

Ma i loro mentori, Flowers dichiara senza modestia, non dovrebbero preoccuparsi. “Non abbiamo perso la nostra sensibilità pop“, dice sorridendo. “Saranno fieri di ‘Read My Mind’, Neil sicuramente“.

Brandon Flowers, il più giovane di sei fratelli, è nato a Las Vegas. A otto anni si è trasferito con la sua famiglia nello Utah, prima a Payson (dove è stato girato il film Footloose) poi a Nephi (una piccola comunità che prende il nome da un profeta mormone). I suoi genitori avevano vissuto a Las Vegas per quarant’anni; volevano andarsene dalla routine. Flowers non si è mai ripreso dallo shock culturale del trasloco, anche se “Mi piaceva la libertà di essere un bambino in un paesino. Mia mamma non doveva preoccuparsi di bambini rapiti“.

Ma era affascinato della vecchia Las Vegas – “con Frank Sinatra e il glamour e le Cadillac” – e a sedici anni i suoi genitori hanno lasciato che ci tornasse, per finire le superiori e vivere con suo cugino, che aveva la stessa età. Dopo aver preso il diploma ha lavorato in casinò e negozi, e ha iniziato a cercare musicisti con i suoi stessi gusti.

Dopo aver visto l’annuncio di Dave Keuning in due giornali settimanali di Las Vegas, Flowers e il chitarrista hanno stretto un legame grazie al medesimo entusiasmo per gli Oasis, e al desiderio di diventare importanti. Keuning era arrivato a Las Vegas da una piccola città dell’Ohio per mettere su una band. Aveva già suonato 18 mesi in altre band. La sua prima impressione del ragazzino: “Ho pensato che le sue scarpe fossero strane“, dice Keuning. “Indossava le stesse degli Oasis – le Clarks!“.

Ronnie Vannucci e Mark Stoermer, entrambi nativi di Las Vegas, avevano anch’essi già suonato in alcune band locali. Hanno incontrato Flowers e Keuning attraverso contatti vari nei circuiti dei locali live, e nell’Agosto del 2002 i quattro hanno suonato il loro primo concerto assieme. “Si capiva che c’erano delle belle canzoni“, ricorda Stoermer quando incontrò Flowers e Keuning. “E quel qualcosa che ti rapisce…“.

Vannucci ricorda che anche quando le loro canzoni erano “versioni ridotte di quelle che sono ora, Brandon non aveva paura di salire sul palco e cantarle. Devi farlo quando cerchi di iniziare qualcosa. E quando iniziava, Brandon cantava sempre bene“.

Ferocemente competitivo, Flowers ha cercato di seguire i suoi cinque fratelli, di molto più grandi di lui, da quando è nato – è stato “una sorpresa!” – soprattutto il fratello Shane. Shane ha 13 anni in più di Brandon, nato il 4 Luglio, e un giocatore di golf molto più bravo di quello che il Flowers minore avrebbe mai potuto sperare di diventare.

Da adulto il Flowers più piccolo aveva molto da dimostrare. Nel caso di Sam’s Town, ciò significa dimostrare che questi quattro disperati personaggi di Las Vegas possono approfittare del successo generato dal primo album Brit-disco e diventare evocatori di Bruce Springsteen, U2, ma anche ELO e Queen. Perché per i Killers, nati negli immensi spazi americani, la dimensione ora è tutto.

Anche nei piccoli palchi in cui i Killers suonano questo fine settimana, Flowers si comporta come se fosse in uno stadio. Eccolo mentre si aggira furtivamente sul palco del piccolo e leggendario Troubadour club a Los Angeles, mentre guida il pubblico in un entusiastico coro di ‘I got soul/But I’m not a soldier’ da All These Things That I’ve Done – la frase declamatoria, cantata da una band completamente vestita di bianco, che ha riecheggiato più forte al Live8 della scorsa estate, e che è stato anche rubata da Robbie Williams sul palco di Hyde Park.

Eccolo qui di nuovo la serata successiva, illuminato da luci delicate e attorniato da arbusti del deserto all’Empire Ballroom di Las Vegas, sorridendo come un bambino mentre il pubblico della sua città natale salta e tira pugni all’aria e i The Killers cantano Read My Mind, un’ode a Vegas.

Con le sue solite iperboli, Flowers ha già dichiarato che Sam’s Town è “uno dei migliori album degli ultimi 20 anni“. Nella sua casa a Henderson, una prospera comunità fuori Las Vegas, di recente si è chiuso nella sua macchina in garage e ha ascoltato tutto il cd per intero. Ora può confermare di essere stato un fenomeno. “Posso dare ragione alla mia parlantina“, dice raggiante.

In Sam’s Town i The Killers si occupano di temi drammatici: la casa e il cuore in pezzi, la vita e la morte, le cose giuste e quelle sbagliate. Bling (Confession of a King) è la storia vittoriosa della rinnegazione da un giorno all’altro, da parte del papà di Flowers, dell’alcolismo e del cattolicesimo per diventare mormone quando Brandon aveva cinque anni. ‘Higher and higher/We’re gonna take it/Down to the wire’, canta Flowers nel coro da braccia alzate. ‘We’re gonna make it/Out of the fire’.

Altri panni sporchi da lavare in famiglia si trovano in Uncle Jonny. Parla di come il fratello di sua madre sia sopravvissuto alla cocaina, alla ossessione paranoica per 1984 di George Orwell, e alla convinzione che gli alieni sarebbero venuti a rubare il suo seme. Così zio Jonny decise di spararsi ai testicoli in bagno. Fortunatamente ha mancato il bersaglio e si è invece sparato sull’inguine. Ora sta bene. “C’è un sensazione molto ispiratrice alla fine della canzone, credo. Tifi per Jonny. È una cosa bella avere fiducia nelle persone“. È un segno del suo unico obiettivo – che alcuni potrebbero definire egoismo – il fatto che Brandon Flowers non si sia scomodato a chiedere a Jonny o a suo padre di poter mettere queste canzoni in Sam’s Town.

L’antemica Why Do I Keep Counting? – la All These Things That I’ve Done di questo album – è ancora più personale. Parla della paura di volare e della mortalità da parte di Flowers. ‘Will I live to have children?’ si chiede. Sta imparando a tenere sotto controllo questa paura con incontri settimanali con un terapista di Las Vegas. In aereo ascolta le registrazioni delle sedute.

Sfortunatamente, questa paura è rafforzata da un’altra: Brandon Flowers ha un problema con il numero 621, la data del suo compleanno (21 Giugno). Se sta guidando alle 6.21 pm è super attento. Una volta ha dovuto prendere l’aereo per andare a Glastonbury il giorno del suo compleanno. “È stato davvero un casino“.

Ride mentre lo racconta. Ma è assolutamente serio. È una cosa che risale alla sua infanzia, quando una tavola Ouija gli ha predetto che sarebbe morto in quel giorno. “È una cosa stupida, non è un modo per godersi la vita“.

Sospira. “Cresci e non hai paura di niente. Esisti e ti diverti e non hai preoccupazioni. Mi è stata data questa grande opportunità che ho sfruttato. È quasi troppo bello per essere vero. E questo mi ha fatto pensare che è inevitabile che mi succederà qualcosa di brutto“.

Sam’s Town, la canzone che da il titolo all’album, menziona la partecipazione alla veglia della nonna Dixie – la prima volta che ha vissuto la morte in prima persona. Ma i suoi genitori hanno sessant’anni. “Sto invecchiando, i miei genitori stanno invecchiando. Mia mamma ha avuto gravi problemi di salute. Cominci a pensare: mia mamma morirà un giorno. Ha ha!” Ride nervosamente. “Non ci avrei mai pensato“.

Ha una passione per la morte. Jenny was a Friend of Mine e Midnight Show, entrambe da Hot Fuss, parlavano dell’assassinio di una ragazza. Rintraccia questo interesse a quando Morrissey cantava di quanto gli piaceva ‘il fascino del crimine’ nella canzone Sister, I’m a Poet. “Ho studiato molto quella frase. E si è ormai impressa in me“.

Durante il tour in Scozia i The Killers hanno sentito la terribile storia di Jodi Jones, una quattordicenne di Dalkeith assassinata dal suo ragazzo tre anni fa. Ne hanno scritto una canzone, Where is She?, dal punto di vista della mamma di Jodi. L’hanno suonata live alcune volte, ma dopo le proteste nei giornali scozzesi hanno deciso di accantonarla.

Mi sono sentito veramente male“, dice Flowers. È davvero dispiaciuto del turbamento che ha provocato. Ma mentre facciamo la nostra seconda intervista, in un camerino di Las Vegas, l’empatia sembra mancare – sembra più dispiaciuto di non poterla più suonare. “Prima di far parte dei The Killers, avrei potuto scrivere quella canzone e nessuno avrebbe mai saputo niente. Ma è stata scritta senza doppi scopi. Se non avessi mai detto niente, nessuno l’avrebbe mai saputo e forse quella canzone ora sarebbe in Sam’s Town. È un’ottima canzone. È un peccato“.

E ci potrebbero essere anche altri motivi per cui pensa alla morte. I mormoni credono che la morte sia una parte integrante per la salvezza – la vita eterna – e che la morte non è la fine. Ma la salvezza dipende in parte da una vita vissuta in modo corretto. Quando fai parte di una rock’n’roll band, ciò potrebbe rivelarsi un problema.

In tutte le religioni ci sono le cose che si possono e quelle che non si possono fare“, dice Flowers. “Molte persone credono che ci sia ancora la poligamia, ma non è così. (O che) non puoi bere Coca Cola – che potremmo andare all’inferno se beviamo la Pepsi. Non si può bere alcol“.

Ma tu lo fai.

Flowers sorride. “Cerco di non farlo“.

È intrappolato tra Dio e il rock’n’roll, il sacro e il profano. Non ci sono sorprese che santo Bono sia un eroe per lui. “Bob Dylan l’ha detto con parole migliori – non puoi essere ebreo ed essere figo“, sogghigna, “e non puoi essere mormone ed essere figo! Ma sto cercando di fare il mio meglio!“.

Si tratta di scegliere la sua strada con attenzione nel mondo del, come ha cantato in Hot Fuss, Glamorous Indie Rock & Roll. La frase più famosa dei The Killers, ‘I’ve got soul/But I’m not a soldier’, mi ha sempre reso perplesso. Pressato per capirne il significato, Flowers alla fine afferma che parla di come “non sarai mai perfetto…Per me aveva più un risvolto religioso. Attraverso questa fase della mia vita in cui…credo quello in cui credo e divento il capro espiatorio. Per il mondo del rock’n’roll…Perché anche quando sono scivolato ho continuato a credere a quello in cui credo“.

Sto cercando di trovare il posto ideale. E sto ancora cercando. Sto iniziando a trovarmi più a mio agio. Sono uomo e sono attratto dalle donne. Leggi e sei affascinato dalle droghe. C’è un punto in cui ci si aspetta che noi, che noi…” Le parole escono dalla sua bocca quasi balbettando.

“Ci abbassiamo a farne uso [sic], credo! Ce lo si aspetta da noi“.

Ha mai preso droghe? Flowers apre la bocca per parlare, ci pensa su meglio, e muove la mano avanti e indietro sul nastro della registrazione, sorridendo, insolitamente senza trovare le parole.

L’anno scorso Flowers ha sposato la sua fidanzata da cinque anni alle Hawaii. Lei ha quasi finito i suoi studi per diventare maestra alle elementari. Ma ora che lui ha i soldi, vuole portarla con se in tour. Non vede l’ora di avere un figlio, “un piccolo fiorellino“, ma il mormonismo da’ molto peso alla solidità della vita famigliare; uno dei suoi cugini ha abbandonato il suo posto nel circuito di golf PGA perché avrebbe significato stare via troppo a lungo da casa. Flowers già vede quanto è difficile per (il non-mormone) Dave Keuning, che ha un figlio di un anno; non potrebbe tollerare di andare in giro per il mondo e non stare vicino a suo figlio.

Brandon Flowers – a volte fantasista pop con eyeliner – è un ragazzo vecchio stampo. È il primo ad ammettere di essere un sentimentale. Si sente più a suo agio a parlare della sua fede.

Credo in Dio“, dice. “È una grossa parte della mia vita. Puoi menzionarlo e parlarne senza essere per forza un ‘Christian Rocker’“.

Il grande successo che i The Killers hanno ottenuto negli ultimi tre anni significa che ha visto moltissimi posti nel mondo. E sé stesso. Forse anche troppo. Ora Sam’s Town è un sound potente ed onesto di un giovane uomo che è tornato a casa, sta ripassando tutti i suoi traumi e le sue confusioni e contraddizioni senza ricorso all’astrazione o a giochi di parole. È messo a nudo, è edificante, e da alcuni punti di vista è rinfrescante perché fuori dalle mode.

Se vi siete mai chiesti come suonerebbe un mix di Morrissey e Springsteen, aspettate di sentire Read My Mind, che dovrebbe essere il terzo singolo da Sam’s Town. È l’omaggio di Flowers a ‘the good old days, the honest men, the restless heart, the promised land, the subtle kiss that no one sees …’

Ho usato un po’ di cliché che ormai stanno morendo e che invece sarebbe bello ci fossero ancora“, dice Brandon Flowers. “Non credo che fra cinquant’anni guarderemo al 2006 dicendo ‘the good old days’. Ma quando parli dei bei vecchi tempi andati riferendoti agli anni Cinquanta, quelli si erano belli. Mentre adesso è come se stessimo strisciando avvicinandoci sempre di più all’inferno!

Dietro le quinte all’Empire Ballroom, Brandon Flowers, vestito da cowboy, si alza e si prepara per l’esibizione. È stato nervoso per lo spettacolo, di cui faranno parte alcuni famigliari, tormentato da problemi tecnici per tutto il pomeriggio. Come è ovvio che sia, è un trionfo celebratorio, e sul palco la gioia sarà evidente sul suo piccolo viso ansioso.

Ma ora, prima del concerto, Flowers è tormentato. Fuori, le ragazze del bar e le hostess si stanno preparando a soddisfare le richieste del pubblico. Visto che siamo a Las Vegas hanno indosso poco di più di biancheria intima. “Non capisco come facciano a non mostrare i capezzoli“, dice il frontman dei The Killers sconsolato, e non ne è molto contento.